Migliaia di operai hanno dato vita a violente proteste contro i licenziamenti e i tagli dei salari a Dongguan, una città industriale nella provincia del Guangdong, nella Cina meridionale. Secondo il quotidiano Mingpao di Hong Kong le proteste si sono verificate in una fabbrica di proprietà della taiwanese Yue Cheng, che produce scarpe sportive per marchi internazionali come New Balance, Nike e Adidas. I lavoratori hanno dato vita alle proteste ieri, dopo che erano stati annunciati tagli ai salari e i licenziamenti di 18 dirigenti di medio livello. La fabbrica ha circa ottomila dipendenti. Il China Labour Bulletin di Hong Kong, una pubblicazione di esuli cinesi che segue con attenzione le vicende industriali, afferma che circa settemila operai hanno preso parte alle proteste. Secondo il Mingpao ieri pomeriggio gli scioperanti si sono scontrati con la polizia e dieci lavoratori sono rimasti feriti. Gli operai sostengono che la direzione intende spostare la fabbrica nella vicina provincia dello Jiangxi, dove i salari sono più bassi che nel Guangdong, una delle regioni più industrializzate della Cina. In questi giorni i «microblog» cinesi – i brevi messaggi che vengono inviati su Internet – sono pieni di denunce secondo le quali un gran numero di piccole imprese che operano nel sud della Cina sono sull’orlo del fallimento a causa del crollo delle esportazioni verso Europa e Stati Uniti. La fabbrica al centro delle proteste – che secondo il giornale sono terminate mentre sono in corso trattative tra direzione e lavoratori – è tipica del sud della Cina. Di proprietà di imprenditori molto spesso di Taiwan e di Hong Kong che lavorano su commissione per le grandi multinazionali manifatturiere, la Yue Cheng impiega migliaia di immigrati dalle zone più povere della Cina che negli ultimi 20 anni si sono riversarti nelle zone del sud e della costa orientale, cuore del prepotente processo di industrializzazione che ha portato la Cina ad essere «la fabbrica del mondo» e ad accumulare un avanzo commerciale che è alla base della sua ascesa economica e politica sulla scena internazionale. Tutta la fascia industrializzata del sudest è investita dall’anno scorso da un’ondata di scioperi della quale sono protagonisti gli immigrati più giovani, i 20-30enni, che non sono disposti ad accettare le pesanti condizioni prevalenti, caratterizzate da bassi salari e pesanti turni di lavoro. I casi più noti sono stati quelli delle fabbriche che lavorano per la giapponese Honda e la Foxconn, la «fabbrica dei suicidi» dove decine di giovani lavoratori si sono suicidati in una tragica protesta contro le condizioni nelle quali erano costretti a lavorare e a vivere. Negli ultimi mesi gli scioperi si sono estesi ad altre categorie, come i camionisti che hanno bloccato Shanghai per tre giorni la scorsa primavera e i tassisti, che hanno incrociato le braccia ad Hangzhou e in altre città della provincia centrale dell’ Henan.
Anche i cinesi si incazzano. La fabbrica si sposta da dove il lavoro costa poco a dove costa pochissimo: proteste e scontri
(ansa)in data:18/11/2011
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