La lotta per la vita della rivoluzione egiziana ha raggiunto uno stadio critico. La massiccia energia che ha rovesciato l’odiato dittatore dell’Egitto sembra avere colpito un muro dopo che la Corte Suprema egiziana ha dissolto il parlamento in quello che molti chiamano un “colpo di stato”. I militari quindi hanno intrapreso un’ulteriore azione per consolidarsi, mettendo un freno ai loro passi fasulli verso la democrazia. Secondo il The New York Times:
… i generali avevano chiuso il parlamento e lasciato fuori i suoi membri, preso il controllo dell’autorità legislativa anche dopo l’elezione di un presidente e svelato una nuova costituzione provvisoria che protegge il loro potere ed i loro privilegi. Hanno anche nominato il loro comitato di 100 membri per redigere una carta [costituzione] permanente.
Il recente vincitore delle elezioni presidenziali, Mohamed Morsi della Fratellanza Musulmana, ora deve operare entro gli stretti confini permessi dai militari, che si sono impossessati di tutto il potere legislativo e di quasi tutto il potere esecutivo reale. La legge marziale resta in vigore. Il nuovo presidente si è trovato circondato da degli ufficiali che non gli permetteranno di prendere una singola decisione indipendente.
Come è potuto accadere questo?
Ciò che fin qui la rivoluzione egiziana non è riuscita a compiere è stato di distruggere le basi reali del potere del vecchio regime, assicurando che i regime si sarebbe riconsolidato. Si, il dittatore è stato rovesciato, ma le istituzioni che hanno sostenuto il regime sono ancora in piedi; le strutture statali abituate ad un totalitarismo che serve la ricca elite hanno finalmente reso manifeste al pubblico le proprie intenzioni, sentendosi ora fiduciose che loro posizioni siano invulnerabili alla rivoluzione.
Di conseguenza, il circolo interno del dittatore responsabile di avere approvato l’uccisione di più di 900 dimostranti innocenti non verrà imprigionato, né lo saranno i crudeli capi della polizia che hanno eseguito gli ordini. Questo è perché la magistratura del paese è stata nominata dal vecchio regime e stanno utilizzando tutto il potere a loro disposizione – e creandone nel processo di nuovi – per far girare all’indietro la ruota della storia all’Egitto pre-rivoluzione.
Dopo che la magistratura nominata dal dittatore ha dissolto il parlamento, il candidato presidenziale della Fratellanza Musulmana, Mohammed Morsi, ha minimizzato il fatto, accettando la decisione.
E’ mio dovere come futuro presidente dell’Egitto, se piace a Dio, separare tra le autorità dello stato ed accettare le decisioni [?!]
La Fratellanza ha giurato di rispettare “la legge”, quando la legge sono semplicemente le armi dei militari combinate con una Corte Suprema fantoccio. La bizzarra risposta di Morsi non è soltanto un sintomo della codardia politica della Fratellanza, ma è prova della sua collusione con i dittatori; la Fratellanza sta tentando disperatamente di integrarsi nello spettro dominante delle politiche pro-capitaliste dell’Egitto, essendosi conformata sufficientemente a lungo al vecchio regime per mangiarne le briciole. Il nuovo presidente si trova in una posizione che qualunque persona onesta lascerebbe all’istante.
Con sollievo l’apatica “opposizione” della Fratellanza è stata per la maggior parte svelata ad ogni egiziano semiconsapevole. Questo fatto è provato dai risultati del primo turno delle elezioni presidenziali: la Fratellanza ha ricevuto metà dei voti che aveva raccolto nelle elezioni parlamentari dei mesi prima.
Inoltre, durante il primo turno delle elezioni presidenziali, le maggiori città dell’Egitto hanno votato per il candidato al terzo posto, un “socialista” nasseriano, molto rassomigliante alle aspirazioni della persona media che lavora in Egitto. Le azioni più recenti della Fratellanza hanno ulteriormente smascherato la sua leadership per ciò che è: un sostegno involontario perché i militari restino al potere.
Quelli che hanno cominciato la rivoluzione e scacciato il dittatore sono ancora nell’atto di incanalare le loro energie rivoluzionarie in una forma organizzativa capace di distruggere il potere politico ed economico dei ricchi sui quali poggia il vecchio regime.
Una volta che i rivoluzionari si ristabiliscono, sicuramente hanno imparato che, allo scopo di avanzare la rivoluzione deve essere distrutto l’intero apparato statale del precedente regime, specialmente l’elite militare, la polizia e la magistratura, che utilizzano il loro potere istituzionale per colpire la rivoluzione.
Ugualmente importante è la base economica del potere statale, che pure deve essere presa da coloro che attualmente la controllano. Molte delle grandi imprese egiziane sono potenti a causa delle loro connessioni dirette con i militari e spesso sono possedute da generali e dai loro amici al governo.
Il Los Angeles Times recentemente ha spiegato:
… l’esercito egiziano controlla un impero imprenditoriale multimiliardario in dollari che commercia in prodotti normalmente non associati con uomini in uniforme: olio d’oliva, fertilizzanti, televisioni, computer portatili, sigarette, acqua minerale, pollame, pane e biancheria personale….Le stime suggeriscono che le imprese collegate ai militari contano dal 10% al 40% dell’economia egiziana. E’ un regno opaco di investimenti stranieri, accordi riservati e privilegi che sono cresciuti quietamente per decenni, impiegando migliaia di lavoratori ed operando parallelo alle industrie della difesa dell’esercito.
Se la ricchezza dei militari non viene nazionalizzata – e gran parte della loro ricchezza proviene da recenti privatizzazioni di servizi pubblici – il denaro continuerà ad alimentare il potere dei dittatori.
Per raggiungere questi obiettivi i lavoratori rivoluzionari dell’Egitto hanno bisogno di agire indipendentemente in numeri massicci, come hanno fatto all’inizio della rivoluzione. Comunque, questa indipendenza ha bisogno di essere organizzata sufficientemente per rimuovere completamente i poteri esistenti in Egitto, le richieste di “Mubarak deve andare” devono essere sostituite da nuove richieste che affrontino i più profondi legami militari ed economici del vecchio regime.
Per contribuire a dare voce ed organizzazione a queste richieste, un’assemblea costituente rivoluzionaria rimarrà probabilmente una richiesta popolare e necessaria, in modo che possa essere creata una costituzione veramente democratica con la partecipazione attiva di tutta la gente che lavora. La domanda di un’assemblea costituente ha provato essere una richiesta rivoluzionaria per tutta la rivoluzione latinoamericana, le cui situazioni erano molto simili all’Egitto di oggi.
Il processo elettorale in Egitto si è dimostrato essere una finzione ed i lavoratori non accetteranno così facilmente la stessa dittatura con un volto leggermente diverso. Dal momento che le elezioni non sono riuscite a risolvere niente di sostanza, Piazza Tahrir sarà ancora una volta la scena politica preferita per i lavoratori egiziani che cercano il cambiamento rivoluzionario politico ed economico.
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