di Michelangelo Cocco
ATENE – Già due volte in Grecia la sinistra ha rischiato di prendere il potere: dopo la seconda guerra mondiale, quando l’avanzata dei comunisti fu arrestata dalla guerra civile, e nel 1956, quando a sbarrare la strada all’«Unione democratica» di Eda, centristi e liberali ci pensò un sistema elettorale che, nonostante avesse ottenuto la maggioranza relativa dei voti (48%), le diede solo 132 seggi in parlamento, regalandone 165 ai conservatori. Dopo quell’ultimo tentativo, il Paese ha vissuto la persecuzione dei comunisti, l’omicidio politico del deputato pacifista Grigoris Lambrakis, il regime dei colonnelli, una serie infinita di divisioni interne al fronte progressista. Ma finalmente l’estate 2012 – ad Atene sono sempre di più quelli che ci credono davvero – «è l’ora della sinistra!» (eisai i ora tis aristeras!), come gridavano l’altra sera migliaia di persone accorse a piazza Omonia per ascoltare l’ultimo comizio prima del voto di domani di Alexis Tsipras, il leader di Syriza, il ragazzo dalla faccia pulita che pretende di guarire con la speranza una nazione stremata dalla cura da cavallo imposta dalla troika (Bce, Commissione Ue, Fmi) per rimetterne in sesto le finanze. «Apriamo la strada della speranza» è lo slogan elettorale della sinistra radicale che l’ingegnere trentasettenne, in maniche di camicia, ha lanciato non più soltanto agli eurocomunisti e ai gruppi – maoisti, trotzkisti e verdi tra gli altri – che lo seguono dal 2004 (anno della fondazione del «partito») ma a tutte le famiglie greche. Ai disoccupati, agli anziani che si sono ritrovati di punto in bianco con delle pensioni da fame, ai lavoratori dipendenti a cui sono stati tagliati salari e diritti, alle vittime dell’Europa delle banche. Per questo a chi giovedì sera ha coperto a più riprese il suo discorso con l’urlo «è l’ora della sinistra!», lui ha replicato che «è l’ora del popolo», perché sa bene che domani, per compiere l’impresa di far diventare Syriza il primo partito della Grecia – assicurandosi così quei 50 deputati in più che la legge elettorale attribuisce al vincitore e che potrebbero permettergli di formare un esecutivo, magari una coalizione con la Sinistra democratica di Kouvelis -, ha bisogno di sedurre ancora tanta gente di diverse estrazioni politiche. Tsipras e Syriza (che alle penultime politiche aveva raccolto il 4,6% e all’inconcludente voto del 6 maggio scorso è passata al 16,8%) accarezzano il sogno di replicare, in poche settimane, la straordinaria progressione di Andreas Papandreou e del suo partito socialista Pasok, che in sette anni e tre elezioni (1974, 1977, 1981), conquistarono il governo passando dal 14%, al 24, al 48%. Sembrerebbe una missione impossibile, se non fosse che il 6 maggio scorso, sotto i colpi della crisi, è crollato il sistema di potere (Pasok-Nuova democrazia) nato dopo la fine della dittatura, impossibilitato ormai ad assicurare lavoro e servizi ai cittadini che l’hanno sostenuto per circa 40 anni. Il Pasok, che alle legislative del 2009 aveva ottenuto 3.012.373 voti, il mese scorso ne ha raccolti 833.529. Una parte di quest’emorragia (700mila consensi, secondo alcuni esperti) da quello che dalla sinistra greca viene da sempre considerato il partito della corruzione è confluita in Syriza, cresciuta da 315.627 a 1.061.215 preferenze. E c’è già chi si preoccupa dell’effetto che un eventuale «riciclaggio» di funzionari del Pasok avrebbe in caso di successo di Syriza, quando i primi pretenderebbero posti chiave in un’amministrazione dello Stato con la quale i secondi non hanno familiarità. Ma intanto hanno fame di governo perfino i gruppi più estremi di quella che fino al voto del 6 maggio scorso è stata una Coalizione della sinistra radicale interna ai movimenti politici e sociali che hanno scosso la Grecia negli ultimi anni. «Certo, non saremo un esecutivo rivoluzionario» ammette Vassilis Kafetzopoulos, venticinquenne di Atene. Secondo Kafetzopoulos, medico disoccupato e membro di Koe (marxisti rivoluzionari) è necessario «alleviare le sofferenze della popolazione, portare più democrazia al governo e mettere in atto delle misure per far crescere l’economia». I sondaggi – quelli riservati – delle ultime ore danno i conservatori di Nuova democrazia (vincitori dell’ultimo voto) leggermente in vantaggio. I grandi media sono tutti contro Syriza, che però deve aver preso delle contromisure se è vero, come è vero, che i coloratissimi banner elettorali della sinistra appaiono tanto sulle home page, da quella del quotidiano Katemerini a quella del vocabolario online Word reference. I mezzi d’informazione stranieri invece puntano tutti sull’ultra fotogenico Tsipras: a fare anticamera nel suo ufficio nella sede di Synaspismos – l’ex Partito comunista dell’interno che, finora, ha costituito la fragile spina dorsale di Syriza – c’è una lunga fila di giornalisti, dagli americani di NPR ai cinesi della CCTV. In strada, sotto un sole cocente e 35°, i giovani affollano i tendoni elettorali dove vengono distribuite le schede. Dagli altoparlanti rimbombano le note dei Doors, di Manu Chao e di tutto l’armamentario della musica di contestazione. Tra loro c’è Jorge Costa, della commissione politica del Blocco di sinistra portoghese, che sottolinea che «il principale motivo di speranza è che finalmente in Grecia c’è una sinistra che si presenta come alternativa di governo senza arretrare sui principi, cioè il rifiuto del memorandum. È per questo che il popolo l’appoggia». Eleni, una studentessa venticinquenne, milita in Syriza perché la sinistra radicale è stata al fianco degli universitari nelle lotte degli ultimi anni. Le sue aspettative sono altissime: «Dobbiamo recuperare tutto ciò che abbiamo perso in termini di salari, pensioni e diritti democratici». A sostenere Tsipras e compagni è la stragrande maggioranza dei greci tra i 25 e i 50 anni, che spinge per un grande ricambio generazionale in una classe politica che, tra scandali, sperpero di denaro pubblico e manifesta incapacità di trattare con i creditori internazionali, ha messo in ginocchio il Paese. «Sì all’euro, sì a un governo del popolo e non dell’oligarchia» e «non permetteremo la svendita del Paese soltanto perché è stato firmato il memorandum» insisteva l’altra sera Tsipras. Già, il memorandum: l’accordo sottoscritto dal precedente governo Pasok-Nd con la troika prevede, tra l’altro, 11,5 miliardi di euro di tagli che il prossimo governo dovrebbe approvare immediatamente. E sul memorandum, come su altre questioni, all’interno di Syriza si scontrano almeno due linee: c’è chi, come l’ex ministro delle finanze Yannis Dragasakis, confida in un clima mutato nell’Unione europea e quindi nella possibilità di emendarlo in maniera consensuale e chi, come il gruppo di anti-europeisti guidati da Panagiotis Lafazanis, vuole che un eventuale esecutivo della Sinistra radicale lo dichiari subito nullo, come primo atto di governo. Sullo sfondo l’incubo di un’economia in recessione per il quinto anno consecutivo; di una disoccupazione al 21,9%; di 50 miliardi di euro che, negli ultimi due anni, i ricchi hanno occultato all’estero; delle ultime voci su migliaia di correntisti pronti a ritirare i propri risparmi dalle banche già lunedì prossimo. E la possibilità concreta che possa ripetersi l’instabilità del 1989-1990, quando la Grecia andò al voto per tre volte prima di riuscire a formare un governo. Uno degli slogan di Syriza recita: «Apriamo la strada della speranza». Certamente non sarà una passeggiata.
Fonte: Il Manifesto
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