Il maestoso Cristo redentore che troneggia su tutta Rio de Janeiro la sera è illuminato di verde, quasi a voler battezzare la nascita della green economy. A venti anni dal primo storico vertice delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo, dal 20 al 22 giugno la comunità internazionale si ritroverà proprio nella megalopoli carioca per discutere di economia verde come possibile via di uscita dalle crisi multiple – economica, sociale e ambientale – che attanagliano il pianeta. Due giorni prima a Los Cabos, nella bassa California messicana, i 20 leader delle economie più influenti della Terra si incontreranno per affrontare ancora una volta la complessa situazione dell’Europa, trovandosi a dover gestire i risultati del voto greco e francese di oggi che potrebbero mettere in quarantena le politiche di austerity del governo tedesco.
Nell’anno 2012 della catastrofe maya, il 20 sembra quindi il numero della cabala su cui riporre qualche speranza. Ma a leggere le carte preparatorie del negoziato di Rio +20 e le posizioni alla vigilia del vertice in Messico c’è poco da illudersi.
Il negoziato sullo sviluppo sostenibile ha riacceso lo scontro Nord-Sud, che ricorda i bracci di ferro che hanno segnato i recenti negoziati sul libero commercio alla Wto, poi miseramente falliti.
Per Usa ed Europa, con gli altri compari “avanzati”, non è più il tempo di riaffermare gli importanti principi sanciti a Rio nel 1992, quali la responsabilità condivisa ma differenziata tra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo, ma di attualizzare lo sviluppo sostenibile tramite politiche per l’economia verde che tutti devono attuare per stimolare la crescita economica, soprattutto nelle realtà avanzate oggi in crisi. L’economia verde non può che basarsi su puri meccanismi di mercato, con gli Stati che devono solo facilitare gli investimenti privati e la valorizzazione dei servizi che ci forniscono gli ecosistemi naturali, per renderli così commerciabili come qualsiasi altra merce. Proprio come si è cercato di fare, con risultati alquanto dubbi, negli ultimi dieci anni con i mercati dei permessi di emissione per far fronte ai cambiamenti climatici. Molti dei paesi del Sud, ancora delusi per il fallimento dei negoziati sul clima negli ultimi anni, non ci stanno a sottoscrivere quello che denunciano come un passo indietro pericoloso sul terreno dei diritti. Per loro l’economia verde “nordista” è solo uno degli approcci possibili, ed è necessario salvaguardare la sovranità nazionale nello scegliere la propria strada per uno sviluppo sostenibile. In ogni caso la definizione di economia verde va subordinata ai principi originari del 1992, incluso il diritto allo sviluppo dei singoli paesi, e ai diritti umani all’acqua e al cibo, riconosciuti più di recente. Uno studio delle Nazioni Unite, preparato per l’occasione, calcola che ogni anno alle realtà in via di sviluppo servirebbero 1.900 miliardi di dollari per portarsi sulla strada di un’economia verde senza pregiudicare le priorità di lotta alla povertà. Però i paesi ricchi oggi i soldi non vogliono, o forse non possono, darli. Washington risponde solo con nuove partnership pubblico private (quelle lanciate dieci anni fa al vertice di Johannesburg non hanno prodotto molto), se non addirittura chiedendo di allineare le azioni sull’ambiente alle regole commerciali della Wto, liberalizzando quindi i beni e i servizi ambientali. Nelle ultime battute del negoziato G20 in Messico sta emergendo proprio questo tema, come testa di ariete per rilanciare le trattative commerciali bloccati alla Wto. E in quella sede i paesi emergenti potrebbero avere tutt’altra posizione che a Rio. Finita l’ultima tre giorni negoziale venerdì sera, la palla è passata al governo brasiliano, padrone di casa, che entro martedì sera dovrebbe scodellare un nuovo testo di dichiarazione finale. Nonostante il governo messicano si prenderà gran parte della scena globale con il G20 e molti leader influenti salteranno la visita a Rio, l’esecutivo di Brasilia vuole l’accordo e l’impegno a definire i nuovi Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile entro il 2015, nonché la nascita di una nuova agenzia Onu sull’ambiente. Poco conta quali politiche perseguirà quest’ultima istituzione. D’altronde proprio in Brasile si stanno già testando i nuovi mercati degli ecosistemi tramite leggi controverse. Qui l’economia verde di mercato non è una novità. Volendo fare una previsione, al vertice si profila l’ennesimo scambio tra generiche promesse di nuovi fondi per i più poveri al fine di ottenere il via libera di tutti all’economia verde globalizzata e di mercato, senza se e senza ma. Nel frattempo le grandi banche e gli investitori mondiali, che i soldi li hanno, ieri proprio a Rio hanno lanciato la Dichiarazione sul Capitale Naturale. Se il buon giorno si vede dal mattino, la green economy parte sicuramente in salsa dark.
Fonte: www.controlacrisi.org
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