Intervista al filosofo Tullio Gregory sulla «rivoluzione meritocratica» dell’Anvur
di Roberto Ciccarelli
Puzzle incomprensibili. Caos strisciante. Parvenus della ricerca. Questi, forse, sono i giudizi più benevoli espressi dalla comunità accademica sui criteri dell’Agenzia Nazionale della Valutazione (Anvur) che serviranno a giudicare i candidati all’abilitazione nazionale, il nuovo concorso che sta mettendo a soqquadro l’università. E che determineranno i futuri orientamenti della ricerca italiana assimilandola al mondo delle scuole di management e delle risorse umane.
Anche se non è certamente l’unica, la parte più esposta a questo processo è quella delle scienze umane, storico-sociali e giuridiche che denunciano il tentativo di assimilazione ad un sistema meritocratico che simula il funzionamento di un’agenzia di rating, più che il reale esercizio di un giudizio critico.
A Tullio Gregory, accademico dei Lincei, fondatore del Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee del Cnr, oltre che membro del comitato scientifico del Festival Filosofia di Modena chiediamo come funzionerà il nuovo sistema di valutazione centralistico, che molti hanno definito da «Unione Sovietica». «Lei è benevolo – risponde Gregory – Più che centralistico, quello dell’Anvur è un sistema aziendalistico, espressione di un potere incredibile, quello di valutare con criteri numerici oggettivi e quantitativi ciò che non può esserlo. Per loro, in filosofia, storia o nel diritto basta superare una “mediana” su tre, cioè avere pubblicato un minimo numero di libri o articoli in dieci anni per diventare commissari o presentarsi agli esami dell’abilitazione. A parte il fatto che un articolo non è paragonabile ad una monografia, in questa situazione chi ha impegnato dieci anni per completare un’edizione critica della Divina Commedia non ha il diritto di presentarsi al concorso. Un altro criterio per l’accesso al ruolo è la “capacità di attrarre finanziamenti competitivi”. Immagini quanto possa essere competitivo un professore di Sanscrito! Prima hanno scassato l’università con le riforme, adesso impongono queste misure. È una tristezza indescrivibile».
L’Anvur è il prodotto più autentico della riforma Gelmini. La mentalità di cui questa agenzia è il prodotto ispira anche le scelte del ministro Profumo. Ci aiuti a comprenderla.
La nascita di questa agenzia obbedisce ad una pretesa molto antica, quella di quantificare la qualità di un’attività scientifica. Un lavoro che ha impegnato da sempre logici e epistemologi, ma senza alcun risultato positivo. Leibniz scriveva in un frammento: «non discutiamo, calcoliamo». Il suo era un tentativo di tradurre i concetti in parametri formali. E da allora è stato lo sforzo compiuto da tutte le logiche formali che però non è mai andato in porto. Questo accade perché esistono molte logiche e non una sola, elemento trascurato dall’Anvur. Invocare questi precedenti sarebbe dare troppa importanza a questi valutatori che, più semplicemente, hanno ignorato alcuni dati di fatto.
Quali?
Tutte le grandi istituzioni scientifiche europee, i Lincei, l’Académie des sciences di Parigi, la European Science Foundation hanno messo in guardia contro l’applicazione meccanica dei criteri bibliometrici per valutare le pubblicazioni. La valutazione è un giudizio critico, un esercizio della ragione e non della macchina calcolatrice. Invece l’Anvur marcia sicura e affida la valutazione a quello che loro chiamano, con vocabolario aziendalistico, «prodotto» e non ricerca. Conta la quantità delle citazioni ricevute su alcune riviste censite da due società schiettamente commerciali, e non scientifiche, come Scopus e Isi, società che guadagnano sulle riviste che inseriscono in elenco e sulle richieste che ricevono. Queste citazioni possono essere anche stroncature. Non importa, ciò che conta è che il prodotto si venda, cioè venga citato.
La bibliometria è la panacea di tutti i mali dell’università. È il rimedio alla corruzione nei concorsi e premierà gli studiosi meritevoli?
Non sarà affatto così. La bibliometria è solo un esempio di una mentalità calcolatrice che si sta applicando a tutti i livelli dell’istruzione. Questa tendenza procede dai tempi dell’ottimo ministro Berlinguer, quando sono stati introdotti meccanicamente e stupidamente i crediti, pensando che i crediti equivalgano a ore di studio o di numeri di pagine. Oggi l’esame di maturità è il risultato di una somma di crediti accumulati in tre anni. Le commissioni possono attribuire solo 5 punti su 100 per assegnare il titolo. Praticamente è inutile farli. Il tutto può essere riassunto con una battuta di Boccaccio: «facessi un mare di teologia da far rincoglionir frate Cipolla». Hanno fatto un mare di numeri da far rincoglionire tutti quanti.
Fonte: Il Manifesto
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