di Marco Zerbino
«È il momento di pensare a cose che non sono state mai pensate. Nel contesto attuale, io mi pongo anche il problema se può nascere una nuova formazione politica che rappresenti il lavoro». È un Maurizio Landini meno reticente del solito quello che conclude la festa della Fiom di Torino confrontandosi con Nichi Vendola sul tema «Far contare il lavoro».
A «Fiumana 2012», per dieci giorni, attraverso discussioni e faccia a faccia con diversi esponenti del centrosinistra, il sindacato dei metalmeccanici della Cgil non ha perso occasione per incalzare la politica. Non ha mai smesso, secondo un’espressione che è ricomparsa in maniera quasi ossessiva nella maggior parte dei dibattiti in programma, di «mettere i piedi nel piatto».
Ed è dialogando con il presidente della regione Puglia e con Concita De Gregorio che il segretario generale della Fiom ha posto in maniera forse più esplicita di quanto non abbia mai fatto in passato il problema della rappresentanza politica del lavoro.
Landini ci tiene comunque a precisare, una volta di più, che il sindacato non ha intenzione di farsi partito. Ma la Fiom, per quanto gelosa della sua autonomia, non è indifferente a quanto si svolge a livello politico sopra le teste dei lavoratori.
E, visto che l’interlocutore questa volta è Nichi Vendola, il riferimento obbligato è alla competizione interna al centrosinistra. «Le primarie», sostiene Landini «corrono il rischio di spostare il tema. La discussione a prescindere sulle alleanze non mi piace».
Al contrario, secondo il segretario dei metalmeccanici della Cgil, è dai contenuti che bisogna partire. «Negli ultimi due anni, con la vicenda Fiat, da Pomigliano in poi, si è aperta una fase costitutiva dei rapporti di lavoro. Siamo al capovolgimento della lotta di classe. Eravamo abituati a pensare che la lotta di classe la faceva chi stava peggio per migliorare le proprie condizioni, ma oggi è chi sta meglio e si è arricchito enormemente all’interno di un modello di sviluppo che ci ha portato alla crisi a fare la lotta di classe».
E, per di più, la fa con una copertura legislativa come quella offerta dall’articolo 8 della cosiddetta «manovra di agosto», l’ultima del governo Berlusconi, che oggi i referendum anti Fornero puntano a cancellare ma che, prosegue Landini, «è stato scritto sotto la dettatura di Marchionne per dare un riconoscimento legale agli strappi messi in campo dalla Fiat rispetto al contratto nazionale».
Ripartire dai referendum, dunque. Che significa, secondo il segretario della Fiom, «rimettere al centro il lavoro, tentare di capovolgere la sudditanza all’impresa che c’è oggi». Ovvero, proporre delle politiche che siano radicalmente alternative a quelle del governo Monti. «C’è bisogno di ricominciare a pensare in termini di intervento pubblico, in termini di piani industriali per i vari settori strategici della nostra economia. Ma sappiamo bene che questo non si può fare se si accetta il fiscal compact e il pareggio di bilancio in costituzione. Prima di parlare di alleanze, è su cose come queste che bisogna dire una parola chiara».
Come a dire: in che modo potrebbe un futuro governo di centrosinistra invertire la rotta delle politiche di austerità senza mettere in discussione i vincoli europei e il pareggio di bilancio oramai costituzionalizzato anche col voto favorevole del Partito Democratico?
È una suggestione che viene subito raccolta da Concita De Gregorio e girata in forma di domanda a Nichi Vendola: «Come si concilia la necessità di fare battaglie come quelle che stanno alla base dei referendum anti Fornero, e più in generale, la necessità di politiche redistributive, con l’idea di un’alleanza strategica col Pd?».
Il governatore pugliese, va detto innanzitutto, non ha ancora ufficializzato la sua candidatura alle primarie. «Scioglierò la riserva a fine mese. Ho qualche problema da affrontare e superare, visto che nei prossimi giorni ho delle contese giudiziarie. Penso infatti che, se mi presento, devo apparire come una persona immacolata. Io sono sicuro di aver sempre agito in maniera limpida e trasparente ma, prima di scendere in campo, voglio che questa situazione venga certificata. Non voglio che chi mi sostiene e crede nella mia battaglia debba mai avere una qualche ragione di imbarazzo».
Sciolta la riserva, si tratterà di provare a replicare «quel percorso tramite il quale, per ben due volte, mi sono visto costretto a vincere sul centrosinistra per poter poi vincere sul centrodestra».
Vendola riconosce che «nel Pd esistono due anime: una liberista e una no». «Con chi faccio questa battaglia? Io penso che vada fatta seguendo l’esempio di quanto successo con i referendum su acqua pubblica e nucleare». Dunque il primo legame da rinsaldare, secondo il presidente della Puglia, è quello con la sinistra diffusa e spesso priva di tessera, con quella fetta di opinione pubblica che vuole il cambiamento e che, a giugno 2011, «è stata in grado di esprimere una scelta antiberlusconiana e ha fatto vincere il centrosinistra suo malgrado».
«Non voglio lottare per perdere bene», prosegue Vendola, «perché le persone chiedono alla politica che possa cambiare le loro vite. A me l’alleanza interessa nella misura in cui è una contesa delle idee. Certo, questa prospettiva non ce la regala nessuno. Non sto edulcorando l’oggetto, rispetto al Pd. Dico solo che questa è una battaglia necessaria. Di più: che l’avverto come un obbligo morale, che sento il dovere di provarci».
Ma Landini non è convinto che il terreno delle primarie sia quello giusto. «Oggi siamo di fronte alla messa in discussione della libertà delle persone. Si considerano le primarie uno strumento di democrazia perché consentono di scegliere i candidati, ma bisognerebbe fare una discussione seria su come la democrazia sia stata scippata sul posto di lavoro. Oggi con l’espulsione della Fiom da molte realtà tanti lavoratori non si possono più esprimere liberamente e scegliere i propri delegati. Anche questa è una questione di democrazia».
Dunque la priorità è rimettere al centro il lavoro e la sua rappresentanza anche per evitare l’involuzione della democrazia. «Ci vuole il coraggio di rischiare», chiosa il segretario della Fiom. «Anche noi, in fondo, di fronte al ricatto di Marchionne avremmo potuto nasconderci. Ma abbiamo scelto di non farlo perché sapevamo che sarebbe stato molto peggio per i lavoratori che aspiravamo a rappresentare. Bisogna rischiare. Oggi c’è la necessità di avviare un processo costituente che apra alla creazione di una nuova soggettività politica».
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