di Loris Campetti
Ha proprio ragione Susanna Camusso. La segretaria della Cgil ha detto che per fare una politica come quella che sta impoverendo il paese non c’era bisogno dei professori. E ha aggiunto che questa politica bisogna combatterla. Quali armi ha un sindacato per cercare di ribaltare la logica che impone il primato della finanza e preferisce la tassa sul macinato a una seria patrimoniale per recuperare i soldi necessari a riempire le borse degli esattori europei, meglio sarebbe per dare al paese un futuro di lavoro socialmente e ambientalmente sostenibile? Da che mondo è mondo, la prima arma è lo sciopero generale. Difficile incidere sulle scelte politiche limitandosi a un happening a S.Giovanni; difficile, senza mettere in moto un movimento di lotta, far entrare in testa a chi si propone alla guida del paese, magari in alternativa a Berlusconi e in «discontinuità» con Monti, lo slogan di ieri: il lavoro prima di tutto.
Forse è ingeneroso, come commentava qualche operaio indispettito, paragonare la piazza di ieri a una «sagra della castagna», o temere che il prossimo appuntamento di lotta contro un governo che colpisce lavoratori e precari, pensionati e giovani, si riduca a un happy hour. Portare in piazza i lavoratori che pagano la crisi e le risposte liberiste per (non) uscirne, è una scelta giusta. Erano impressionanti i mille cartelli con i nomi di aziende a rischio chiusura, e quelli delle tante che hanno già chiuso e i cui operai hanno perso, o rischiano di perdere, persino gli ammortizzatori sociali. La piazza di ieri consegnava, a chi ha occhi per vedere, la carta geografica di un paese allo stremo, privo di una strategia e di una politica industriale. Un paese guidato da chi pensa che per uscire dalla tempesta si debbano ridurre i diritti e allungare gli orari dei pochi che lavorano, e anche a chi è in cassa gli si dice che quando e se tornerà in fabbrica o in ufficio dovrà rinunciare ai «privilegi». Privilegi? È un paese, il nostro, che da troppo tempo pensa che una transazione finanziaria meriti maggior rispetto di un tondino o un pannello solare.
C’è chi lo sciopero generale l’ha già fatto, come i lavoratori di una conoscenza bistrattata, e chi lo sta preparando come i metalmeccanici. Ma chi non insegna o non fa ricerca e chi non costruisce auto o computer, non è altrettanto colpito? Non lo sono i precari, i pensionati, chi pensionato non riesce a diventare nonostante sia stato espulso dal lavoro? E i milioni di vecchi e nuovi poveri a cui vengono ridotti i servizi essenziali? Come mai mezza Europa, per le stesse ragioni, ha già fatto scioperi generali, altri paesi li preparano e alcuni dell’area mediterranea addirittura nello stesso giorno, abbozzando un primo embrione di sciopero europeo, con la benedizione e la copertura della timida Ces, mentre da noi lo sciopero generale è solo minacciato, e per il 14 novembre la Camusso si limita a proporre «una manifestazione»? Possibile che se non c’è più Berlusconi e il governo ha il sostegno anche di chi dovrebbe stare all’opposizione, la Cgil non si senta libera di combattere le battaglie che pure dice necessarie? Uno sciopero non è la panacea, ma almeno fa sentire meno solo chi soffre.
il manifesto 21 ottobre 2012
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