La “rottura con questa Europa e con questo capitalismo” alla base di un percorso di organizzazione di massa, fuori da ogni tentazione da “intergruppo”.
“Non è un appello ma una proposta di lotta”. Esordisce così la “dichiarazione comune” che una sessantina tra militanti politici, attivisti sindacali e sociali di apprestano a lanciare in questi giorni e che indica già un primo appuntamento – l’11 maggio a Bologna – per avviare un percorso, un vero e proprio tour di assemblee territoriali prima di arrivare ad un appuntamento nazionale. Obiettivo? Un movimento politico anticapitalista e libertario. Il nemico dichiarato? La troika che impone i suoi diktat ai popoli dell’Unione Europea. “Noi crediamo che, come nel 1848 e nel 1945, tutta l’Europa debba liberarsi dalla tirannia: allora dei sovrani assoluti prima e del fascismo poi, oggi del capitalismo finanziario e della sua oligarchia economica, politica e culturale”.
La rottura e la discontinuità sembrano emergere come elementi caratterizzanti sul piano politico “Noi ci uniamo per la rottura con questa Europa e con questo capitalismo, per costruire una nuova storia comune” recita la bozza della dichiarazione comune che sta circolando. La rottura non è un fattore da agire solo sul fronte del nemico ma diventa anche discontinuità con la coazione a ripetere che ha portato la sinistra italiana alla dissoluzione “Occorre rompere con ogni subalternità al centrosinistra e con ogni opportunismo elettoralistico, ma anche con quei settarismi e quella frantumazione che hanno portato la sinistra comunista e anticapitalista italiana ad essere la più piccola e ininfluente d’Europa” afferma un passaggio del documento.
Nel dichiararsi come alternativa, la proposta di movimento anticapitalista dichiara esplicitamente che bisogna riprendere la marcia verso l’eguaglianza sociale partendo dalla riduzione generalizzata degli orari di lavoro, dall’abbassamento della età della pensione, dalla cancellazione delle leggi sulla precarietà e di quelle sullo schiavismo e la criminalizzazione dei migranti. Ci vuole una grande redistribuzione della ricchezza verso il basso, con un generale ed egualitario incremento delle retribuzioni e delle pensioni più basse e con la istituzione di un reddito minimo garantito”. Ma la dichiarazione ci tiene a chiarire da subito che “nulla di tutto questo potrà essere realizzato con le vecchie classi politiche di destra e di sinistra e con l’attuale sistema di concertazione burocratica sindacale”.
Infine, ma non certo per importanza, viene indicato come “Noi lottiamo per la costruzione di una rappresentanza politica che non abbia come prima e unica ragione la presenza nelle istituzioni, ma che sia strumento della ricomposizione e organizzazione conflittuale del blocco sociale degli oppressi”.
Qual’è dunque la proposta contenuta nella bozza di dichiarazione comune? “Costruire un movimento politico anticapitalista e libertario di donne e uomini che vogliono lottare, sulla base di un programma di alternativa economica, politica e culturale, con adesioni individuali e pratiche di democrazia realmente partecipativa, con un sistema di relazioni plurali ed aperte”. Insomma nessun intergruppo o coalizione di forze organizzate ma un movimento al quale ognuno dovrà aderire individualmente e responsabilmente.
Tra i firmatari della dichiarazione comune compaiono militanti e attivisti politici provenienti da diverse organizzazioni della sinistra di classe ma anche delegati e rappresentanti sindacali che hanno scelto la strada del sindacalismo conflittuale sia nei sindacati di base che in quelli ufficiali. Di sicuro ci saranno Giorgio Cremaschi ed Emidia Papi, fino ad oggi i due portavoce del Comitato No Debito. Ma ci saranno soprattutto quei militanti e attivisti che non intendono gettare la spugna nè ripercorrere le strade fallimentari che hanno portato alla crisi.
Fonte: www.contropiano.org
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