di Giuseppe Mosconi – ordinario di Sociologia del Diritto
Ha avuto ragione il questore Coccia nel richiamare comitati e politici al senso del limite e della responsabilità in tema di sicurezza, a fronte del proliferare di proposte di ogni tipo, votate a giocare al rialzo in una sfrenata corsa pre-elettorale alla conquista del consenso (presunto). Tanto che un apologeta del “Law and Order” doc, come Maurizio Saia, ha intelligentemente abbassato i toni, arrivando a parlare di ricette bizzarre, di grande confusione, e di necessario rispetto della legge, riconquistando così una posizione autonoma a fronte della gazzarra sicuritaria. In effetti, a rileggere la sintesi delle posizioni dei candidati sindaco in materia di sicurezza, pubblicata sul Mattino del 5 maggio, si nota un contrasto tra due dimensioni. Da un lato una egemone e dilagante rincorsa alle maniere forti, in termini di rafforzamento assolutizzante del controllo da parte delle Forza dell’Ordine (da parte, in primis, dello stesso Saia) e di capillare diffusione della video sorveglianza (i “mille occhi sulla città” proposti dal vicesindaco reggente, insieme a una monumentale tomba per Orwell), fino al parossismo dei pentastellati, che riesumano le famigerate ronde, in salsa populista. Su questo versante si consuma un corto circuito comunicativo tra proposte istituzionali e pubblico tale per cui la qualità delle risposte alle richieste di rassicurazione necessariamente presume quel tipo di richieste, e al tempo stesso le produce e le rafforza, in una univoca e ineluttabile diffusione di senso comune, che rischia di appiattire tutte le posizioni, o di scatenare assurde competizioni al rialzo. Dall’altro un bricolage di microproposte, più ispirate al buon senso e all’innovazione: gli agenti di prossimità, l’illuminazione delle strade, i mediatori culturali, il recupero di aree abbandonate, gli sportelli della salute, i taxi rosa per l’autonomia di movimento delle donne; fino a quella che, non per partito preso, ma oggettivamente mi sembra la proposta più appropriata ed efficace; quella degli sportelli contro l’evasione fiscale, per recuperare risorse utili ad investimenti di promozione sociale (Ruffini). Il proliferare di queste di proposte è il segno le politiche sicuritarie alla “0 tolerance” non pagano più, non incontrano la varietà e la complessità dei problemi, non risultano abbastanza rassicuranti né per i politici alla ricerca di consenso, né per i cittadini alla ricerca di risposte. Ma questo contrasto tra diversi livelli pone due questioni fondamentali. Quella di un coordinamento organico di proposte in un programma razionale ispirato ad una reale conoscenza e ad una adeguata interpretazione dei problemi di sicurezza, che non si configuri come scomposta e strumentale reazione a più o meno immaginate emergenze; quella del rapporto tra le politiche più tradizionali, necessariamente ispirate al controllo e alla repressione, e le politiche più innovative, ispirate alla conoscenza dei problemi, all’abbattimento dei pregiudizi, all’accoglienza, alla ricostruzione dei legami sociali, in sintesi alla prevenzione sociale. L’esperienza dei progetti di sicurezza in molte città ha dimostrato che l’idea di combinare le due dimensioni, in progetti di “prevenzione integrata”, porta inevitabilmente alla riaffermazione dei metodi repressivi, più consolidati, supportati da risorse e spendibili come immagini rassicuranti. Per innovare le politiche di sicurezza è necessario intraprendere la seconda strada, in disegni organici ed efficienti, supportandola di conoscenza approfondita dei problemi e delle situazioni di disagio sociale che ne stanno a fondamento e di interventi realmente ispirati metodi di progettazione, di sperimentazione e di sistematica verifica che vadano a fondo nel gestire le questioni in campo. E’ una questione di metodo e di scelte, senza le quali continueremo a rafforzare pregiudizi, a incentivare paure, a lasciar deteriorare le situazioni che si prestano a produrre devianza, a riempire all’inverosimile le carceri, in un processo in caduta libera, in cui il riprodursi di comportamenti socialmente dannosi andrà di pari passo con l’approfondirsi della sfiducia nelle istituzioni e con il pericoloso riemergere di istanze autoritarie.
Fonte: Il Mattino di Padova
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