In Evidenza, Sanità

Welfare aziendale (3)

Ricostruire la storia delle lotte dei lavoratori italiani per la conquista di migliori condizioni di salute e di un Sistema Sanitario Nazionale permette di mostrare un lungo “cammino accidentato e per nulla lineare, che ha tuttavia consentito alla società italiana di uscire da una condizione di minorità civile e sanitaria e di approdare alle conquiste – oggi, per la verità, di nuovo in pericolo- dello Stato sociale universaleSaverio Luzzi in “Salute e Sanità” 2003.

(Qui ovviamente cercherò di fare un super-super-super sintesi, ad uso dei bravi militanti, che con volantinaggi, banchetti davanti agli ospedali e raccolta di firme sono impegnati nella difesa della più grande conquista italiana del novecento: il SSN ).

A ben vedere quello dei diritti sanitari è un lungo cammino dell’umanità che si basa al meno su tre fattori, come ci ricordava Giovanni Berlinguer :

•“Le malattie umane non sono un fenomeno puramente biologico. Esse variano non solo tra individuo e individuo, ma secondo le epoche, le zone del mondo, le classi sociali. (…) Nelle mummie egiziane la durata media della vita era di 25-30 anni; alla fine del XVIII secolo era ancora sui 30-35 anni, a quanto testimoniano i registri parocchiali. Poi, con lo sviluppo dell’industria, si ha il grande balzo in avanti e si raggiunge nelle zone industrializzate, una durata media della vita che oscilla tra i 70 e i 75 anni e tende a superarli; nel resto del mondo, i valori sono fra i 45 e i 60 anni (…) Le cause dei progressi nel XIX e XX secolo sono essenzialmente tre, intrecciate tra di loro in un complesso di reciproche influenze non sempre semplice né facilmente districabile, percui è difficile valutarne il peso relativo.

La primaè di carattere economico. Lo sviluppo delle forze produttive, la maggior quantità dei beni di sussistenza indispensabili (alimenti, abitazioni, indumenti, ecc.) consente di ridurre soprattutto l’incidenza delle malattie carenziali e di quelle climatiche, e contribuisce anche a migliorare le condizioni igeniche dell’ambiente e quindi a ridurre la diffusibilità delle malattie infettive.

La secondaè il progresso delle scienze mediche e di alcune scienze collaterali (soprattutto la chimica e la biologia), che hanno consentito di scoprire per alcune malattie gli agenti eziologici, ed anche rimedi specifici (sieri, vaccini, chemioterapici, antibiotici e tutta la vasta gammma dei prodotti terapeutici moderni).

La terza causa è di natura politica, e spesso viene dimenticata, anche se non è sicuramente secondaria rispetto alle altre.” In “Storia e politica della salute” 1991

Possiamo, con Luzzi, affermare che le conquiste realizzate dai lavoratori durante questo lungo e faticoso cammino di realizzazione dei diritti sociali, se non adeguatamente difese, possono a breve essere oggi fortemente ridotte dai padroni del Capitale finanziario.

Carlo Marx nel suo “Il Capitale” (1867) riporta un frammento di articolo del Times,5 novembre 1851: “ Benché la salute della popolazione sia un fattore così importante del capitale nazionale, noi temiamo che sia necessario dire che i capitalisti non sono affatto pronti a conservare e a valutare questo tesoro … Il rispetto per la salute degli operai è stato imposto con la forza ai fabbricanti.” citato da G. Berlinguer in “La Riforma sanitaria” 1974 Editori Riuniti

Ancora Marx, nel suo “Indirizzo inaugurale dell’Associazione internazionale dei lavoratori” a Londra nel 1864

Operai!

E’ un fatto innegabile che la miseria della massa dei lavoratori non è affatto diminuita dal 1848 al 1864, in un periodo che pure può essere considerato straordinario per uno sviluppo senza esempi dell’industria e per l’aumento del commercio. Un organo moderato della classe media inglese, con un giudizio certamente comune, predicava nel 1850 che, se in Inghilterra l’esportazione e l’importazione fossero aumentate del 50%, il pauperismo sarebbe scomparso! Ahimé, il 7 aprile 1864 il cancelliere dello scacchiere proclamava in pieno parlamento, felice di questa rivelazione, che il totale delle esportazionie delle importazioni inglesi è aumentato nel 1863 << … di circa tre volte il commercio dell’epoca (…) relativamente recente del 1843 (…) Pensate – esclamava – a coloro che ai limiti della miseria … ai salari … che non sono elevati, alla vita umana che, in nove casi su dieci, non è che una lotta per l’esistenza! >> La Camera dei lords – continuava Marx – ha delegato un medico nei distretti industriali, con l’incarico di esaminare la quantità di carbonio e azoto che debba venir somministrata nella forma più semplice e a miglior mercato << nulla più che per prevenire la morte per inedia>>. Il dottor Smith, il medico delegato, s’accertò che per un adulto sono necessari 28.000 grani di carbonio e 1330 grani d’azoto, in media, per garantirlo almeno dalla morte per inedia. Egli ha scoperto inoltre che tale quantità non s’allontanava troppo dal magro nutrimento, cui l’estrema miseria di quei tempi aveva ridotto gli operai dei cotonifici. … Il Sesto rapporto sullo stato della salute pubblica, edito per ordine del parlamento nel corrente anno, contiene i risultati delle sue ricerche. Che mai ha scoperto il medico? Che i tessitori, i cotonieri, i guantai, i calzettari, ecc., in media non sempre ricevono nemmeno il misero cibo degli operai cotonieri, neanche la quantità di carboidrati e azotati << appena sufficienti a prevenire la morte per inedia >>.

<< Non bisogna dimenticare che le privazioni alimentari sono sopportate con grande riluttanza, e che generalmente la mancanza di alimenti sufficienti non si presenta se non preceduta da ben altre privazioni. La pulizia stessa è considerata una cosa molto cara e difficile e, quando il rispetto della propria persona si sforza di mantenerla, ogni simile tentativo viene necessariamente pagato da un accrescimento delle torture della fame. Si tratta di riflessioni molto dolorose, poiché non si ha qui la miseria ben meritata e derivante da pigrizia, ma, in tutti i casi, la miseria di una popolazione che lavora; infatti, per la verità, il lavoro che non assicura che un così magro cibo si prolunga in modo eccessivo per la maggior parte degli individui >>. In “Prima Internazionale LAVORATORI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI !” a cura di Marcello Musto Donzelli editore 2014

Prima di concentrarci sull’Italia è bene ricordare che sono 4 i modelli attraverso cui organizzare il finanziamento e l’erogazione dei servizzi sanitari, questi modelli sono apparsi in epoche diverse:

A) Il Libero mercato

presente in modo diffuso nel XIX secolo e si chiamava “possibilità economica del malato”, e faceva dire che la medicina era quella scienza che curava il ricco, e diceva al povero come avrebbe dovuto curarsi se fosse stato riccoG.Berlinguer in “la professione del medico” 1982. A quel modello la magggior parte degli italiani è costretta ancora oggi a ricorrere per le cure dentarie e sempre più anche per le visite specialistiche a causa delle lunghe liste d’attesa e per l’impossibilità di scegliere.

B) L’assicurazione volontaria

di cui l’esempio moderno più significativo sono gli USA dove, è bene ricordare, che una buona poliza assicurativa per persone intorno ai 50 anni oggi costa, sui 18-20 mila dollari all’anno; è un sistema che non pone alcun obbligo ai cittadini, i quali possono “liberamente” scegliere se assicurarsi o meno contro i rischi di malattia. Oppure “liberamente” trovarsi un lavoro che gli assicuri una tale poliza sanitaria: oggi 200 milioni di lavoratori americani circa ottengono dal proprio datore di lavoro polize sanitarie che possono variere fra gli 8-13 mila dollari.

C) L’assicurazione sociale (o obbligatoria) di malattia

più nota come mutue, fu una grande conquista del mondo del lavoro rispetto alle condizioni precedenti. In Europa è un modello usato ancora da paesi come la Francia e la Germania. I primi lavoratori dell’industria, organizzati nei sindacati e partiti socialisti, che riuscirono ad imporre ai capitalisti questo tipo di assicurazione a protezione dalla malattia furono i tedeschi nel 1883 seguiti dagli austriaci 1888, dai Norvegesi nel 1909 e inglesi e Irlandesi nel 1911.

D) Il Servizio sanitario nazionale.

Differisce fortemente dai due modelli precedenti “perché finanziato attraverso il gettito fiscale. Nel servizio sanitario nazionale è dunque lo Stato a farsi direttamente carico della raccolta e della gestione delle risorse destinate al finanziamento del sistema sanitario. … esso garantisce l’assistenza all’intera popolazione: tutti i cittadini, in quanto tali, hanno diritto alle cure mediche ritenute essenziali. Se quindi i modelli precedenti tollerano disparità di trattamento tra un soggetto e l’altro, nel Servizio sanitario nazionale tutti hanno invece diritto – almeno sulla carta – ai medesimi standard di copertura” Federico Toth in “La sanità in Italia” Mulino 2014. I primi lavoratori a conquistare la copertura sanitaria universalistica furono i Neozelandesi nel 1938, seguiti dagli inglesi nel 1946, gli svedesi nel 1953, i norvegesi nel 1956, i danesi nel 1971-72, Australiani nel 1974, gli italiani nel 1978.

Fino a tutti gli anni Trenta, nel nostro paese vigeva un tipico sistema di assicurazione volontaria. Non esisteva infatti nessun obbligo assicurativo e la protezione contro i rischi di malattia poteva essere ottenuta in due modi: o aderendo a una società di mutuo soccorso o iscrivendosi nei egistri comunali degli indigenti”. F.Toth ibidem

In Italia la prima legge per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro nell’industria fu approvata nel 1898 (n° 30 del 12 marzo, poi modificata dal Testo Unico del 31 gennaio 1904), con il conseguente esonero della responsabilità civile del datore di lavoro, cioè di risarcire i danni, che era di competenza dell’ente assicuratore scelto dal datore del lavoro.

Una concezione che ancora vedeva l’infortunio come tragica fatalità, e non come precisa conseguenza di una cattiva organizzazione del lavoro imposta da imprenditori la cui ricerca del massimo profitto prescindeva dal bene più prezioso, che è la vita di chi lavora. La convinzione diffusa era quella che considerava il rischio come ineluttabile, legato al lavoro stesso e perciò ineliminabile, una sorta di fatalismo produttivoRonaldo Dubini in “L’unità d’Italia e la tutela da infortuni e malattie professionali” 2011

Quantunque le richieste dei lavoratori e degli scienziati di estendere la copertura anche alle malattie conseguenti al tipo di lavoro si deve attendere il 1929, in seguito alla Convenzione di Ginevra del 1° aprile 1927, che impegnava in modo esplicito gli Stati aderenti, fu approvato il R.D. 13 maggio n. 928, e il 17 agosto 1935 venne adottato il R.D n. 1765 “Disposizioni per l’assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle malattie”che unificò le disposizioni relative all’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali. Tuttavia il decreto limitava la tutela a poche malattie (intossicazione da piombo, mercurio, fosforo, solfuro di carbonio, benzolo, e anchilostomiasi) e solo al settore dell’industria, lasciando fuori la maggioranza delle malattie professionali e di tutti i lavoratori dell’agricoltura.

L’Italia, in fatto di prevenzione, ha fatto e fa assai meno di quanto fosse lecito attendersi da una nazione che era stata tra le primissime in Europa ad aderire al movimento antifortunistico … per esentare la Nazione dall’annua tassa dolorosa di 2500 morti, per liberarla dal peso delle 52.000 invalidità permanenti che ogni anno diradano le file del suo esercito lavorativo, per ridurre gli oltre 400.000 infortuni denunciati”. E. Fambri in “Trattato di medicina sociale”, citato da G. Berlinguer in “Medicina e politica” 1973

Ricorda Saverio Luzzi nel suo “Salute e sanità”: “ Un aspetto caratteristico e costante del sistema assistenziale italiano, oltre alla preminenza dell’elemento politico su quello tecnico, è dato dal fatto che in Italia non esisteva un’assicurazione generale di malattia. Si trattò di una scelta ben precisa del regime fascista. Nel 1929, infatti, il Consiglio superiore dell’Economia nazionale decise che per ragioni economiche non fosse possibile procedere al varo di un piano assicurativo globale contro i rischi di malattia. Si diede perciò impulso alla creazione di casse mutue. Lo Stato non si sobbarcò alcun impegno finanziario, le mutue non vennero obbligate ad assumere personalità giuridica e divennero enti ognuno con un regolamento specifico. I gerarchi fascisti ne fecero dei centri di potere. Le mutue assunsero una copertura territoriale o professionale. In pratica, la persona che si ammalava e aveva bisogno di assistenza sanitaria si rivolgeva al medico generico più vicino convenzionato con la propria mutua. Infatti solo in questo caso la visita era gratuita “. In Salute e sanita Donzelli 2004.

Per usufruire dei servizi offerti da una qualsiasi mutua, gli operai, versavano una quota contributiva detratta dallo stipendio: solo il 6% degli italiani, ancora nel 1943, aveva una qualche assicurazione sociale di malattia. La scelta fatta dalle classi dirigenti del fascismo di non investire sulle condizione igeniche-sanitarie dei lavoratori ha ovviamente avuto pesanti conseguenze sulla salute della popolazione. Ad esempio nel nostro paese si mantiene elevato il tasso di mortalità infantile: “ L’indice su mille nati vivi è di 125,8 nel periodo 1921-1925 e scende di poco: è di 103,0 nel periodo 1936-40, mentre in altri paesi, nel corso del medesimo ventennio, viene maggiormente ridotto e perfino dimezzato: in Svizzera da 70,3 a 45,3, in Olanda da 74,4 a 37,4, in Austria da 141,6 a 85,9G. BerlinguerLa strage degli innocenti” 1972

Nel 1939 con il rinnovo del contratto di lavoro per i metalmeccanici, i sidacati operai avanzarono la richiesta di introdurre anche in Italia l’assicurazione obbligatoria di malattia (mutue). L’accordo non fu raggiunto per l’eccessiva quota di partecipazione richiesta ai lavoratori: i padroni ancora si sentivano sufficientemente garantiti dalla forza repressiva dello Stato fascista. Ma con l’entrata in guerra, poco dopo, le condizioni oggetive di vita del mondo del lavoro peggiorano ulteriormente e il fascismo inizia a perdere consenso fra le masse. Roberto Battaglia descrive così la situazione del mondo del lavoro in Italia nel suo “Storia della Resitenza italiana”: “Gli italiani che già prima del conflitto erano agli ultimi posti in Europa per il consumo di calorie pro capite (esattamente al diciottesimo posto) dovettero per sopravvivere, ricorrere sempre più largamente al << mercato nero >> – unica valvola di sfogo per sottrasi all’inedia, riservata però ai ceti medi più abbienti. Rapido e continuo l’aumento del costo della vita: assumendo per base il 1928 = 100, i beni di consumo da 94,3 nel 1939 toccvano la quota di 125,3 nel 1941, i beni strumentali nello stesso periodo da 144,2 ascendevano a 198,3. Complessivamente il costo della vita … era salito del 112 per cento, cioè più che radoppiato. Normalmente fermi o bloccati al livello anteguerra i salari; in continua discesa il lor valore reale. Assumendo come indice il livello da essi conseguito prima dell’avvento del fascismo (1921 = 100), nel ’39, essi toccavano la quota 90 per poi precipitare via via nel ’41 a 86, nel ’42 a 83 e così via. … I gruppi monopolistici del capitalismo italiano, malgrado ogni sconfitta miliare, prosperano infatti fra la generale miseria. Basti qui ricordare come in costante aumento risultino i dividendi delle maggiori società azionarie, ad esempio: nelle industrie navalmeccaniche essi passano dal 4,45 nel ’38 al 6,68 nel ’42; nelle cotoniere dal 3,89 al 4,45, nelle fibre tessisili artificiali dal 5, 19 al 7,03, ecc. … Così il capitale della Montecatini che prima della guerra di Etiopia toccava i 300 milioni, sale fino a 1300 milioni nel ’39 e poi a 1600 milioni nel aprile ’41, a 2 miliardi e 500 milioni nel ’42; quello della Terni da 645 milioni sale a 960 milioni nel ’40, a un miliardo e 500 milioni nel ’42. Analoghi aumenti subisce il capitale della SIP, della Adriatica elettrica. … La natura di classe del regime quale espressione degli strati capitalistici più reazionari della società italiana si rivela in pieno, caduto ogni camuffamento. … Quando spunta all’orizzonte la sconfitta di El Alamein, ancora il fascimo cerca di velarne la tragica gravità … Ma questa volta il gioco non riesce e tutti comprendono che ci si è avvicinati ad una svolta decisiva della guerra … << Per la prima volta >> la vecchia classe dirigente, responsabile e complice del fascismo, dà cenno in questo periodo di meditare lo sganciamento dal regime, tentando di separare le proprie responsabilità dal regime”.

A quel punto le classi dirigenti danno il via libera alle richieste operaie e il Parlamento istituisce l’INAM con la legge n° 138 del gennaio 1943, i cui regi decreti delegati sono di maggio: il fascimo cade il 25 luglio.

Come nacque in Italia il Sistema Sanitario Nazionale che oggi molti fra le lobbies economiche, i partiti, i sindacati vogliono smantellare? Alcuni elementi storici ce li fornisce il prof. Giorgio Cosmacini docente di storia della medicina, nel suo ultimo libro “Medicina e rivoluzione, la rivoluzione francese della medicina e il nostro tempo”ed Scienze e Idee, 2015

Dal luglio 1943 all’aprile 1945 l’Italia fu un campo di battaglia, un territorio bombardato dal cielo, un paese impoverito di case e di fabbriche. Ma proprio alla vigilia dell’insurrezione armata conclusa con la liberazione del paese dal nazifascismo, un “Progetto di riforma dell’ordinamento sanitario italiano” venne concepito con ammirevole preveggenza, nella clandestinità della lotta, da talune teste pensanti partecipi del movimento di liberazione. Autore del progetto fu il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) del Veneto o, meglio, la Consulta veneta di Sanità operante di concerto con i Commissari regionali per l’igiene e la sanità dell’Alta Italia (il relatore del progetto di riforma fu Augusto Giovanardi – 1904-2005 – uno dei più illustri igenisti italiani del novecento che insegnò igiene nelle università di Siena, Padova, Milano, ndr)…”L’ordinamento” proposto era lungimirante. Decentramento amministrativo e gestione loco-regionale della sanità costituivano la cornice di un quadro dove, assumendo i valori civili e sociali di una politica della salute fondata sulla partecipazione attiva di tutti i cittadini (a partire ben inteso dai medici), si configurava un servizio sanitario prontamente responsivo ai bisogni della intera popolazione… Se in campo politico la monarchia fu un fuoco fatuo spento dal referendum popolare, in campo sanitario l’organizzazione corporativa legiferata in extremis dal fascismo fu un residuo “fuoco di Vesta” alimentato dalle strutture dell’INAM, permanenti e restie al cambiamento. …

Nel febbraio 1948, un piano elaborato da una commissione presieduta dal socialdemocratico Ludovico D’Aragona, ministro del Lavoro e della Previdenza sociale (nel governo De Gasperi), prevedeva l’estensione dell’assicurazione di malattia a tutti i lavoratori e l’estensione delle prestazioni sanitarie ai famigliari degli assicurati e ai pensionati (in quanto ex lavoratori). Fondato sul diritto al lavoro – tutti hanno il diritto di lavorare, recita l’articolo 1 della Costituzione, in una repubblica come l’Italia fondata sul lavoro – il piano escludeva peraltro dall’assistenza sanitaria proprio quelle categorie di cittadini, disoccupati e sottoccupati, che di una tutela del genere avevano maggior bisogno, incarnando le nuove e sempre presenti povertà. (chi oggi propone il così detto Welfare aziendale dovrebbe tenere presente che oggi più del 40% dei giovani è senza lavoro) Il piano, che pur nella sua incompletezza aveva il valore di una meta da raggiungere nel tempo senza temporeggiamenti, andò incontro ad una fase di rigetto, dovuta alla difficoltà di conciliare opposti indirizzi, di riforma e controriforma, e alla incapacità di definire il futuro senza intaccare in qualche modo il presente.

…. Nel 1960, quando la sanità pubblica in Italia, nonostante la creazione dell’apposito ministero, restava ancora sostanzialmente bloccata in una istituzione assicurativa ben diversa e lontana da un vero servizio di sicurezza sociale, fu una iniziativa della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL)  a smuovere, con proposta di legge n. 2413 del 26 luglio, le acque stagnanti della politica sanitaria nazionale.”

… “Si trattò di una riproposta, aggiornata, del progetto risalente al 1945. A quindici anni dalla fine della guerra, mentre la riforma della sanità, differita e dimenticata, sembrava essere entrata in letargo, la prima scossa per rianimarla, facendo leva su una risvegliata coscienza nazionale, non venne dal ministero istituito da un biennio, ma dalle forze sociali organizzate nel mondo del lavoro.

Fu un rinnovato progetto di base, non di vertice, nascente non “dall’alto”, ma “dal basso”, come quello elaborato dai resistenti veneti fra gli ultimi bagliori della lotta di liberazione.”

…” nel 1978, con legge istitutiva n. 833 del 23 dicembre, venne varata la complessiva riforma della sanità (governo Andreotti con l’appoggio esterno del PCI che impose l’attuazione della Riforma sanitaria, anche se dovette accettare i forti interessi corportivi sostenuti dalla DC, come la libera professione dei medici, ndr), tenuta a battesimo dal ministro Tina Anselmi.

disse con rammarico l’igienista Alessandro Sappilli, promotore del primo Centro sperimentale per l’educazione sanitaria della popolazione: “ La gestione della legge di riforma sembra la Rivoluzione francese gestita dai restauratori(Corriere della salute 31 marzo 1988, ndr). A tale proposito non è privo di significato il fatto che per un quinquennio, dal 1979 al 1983, l’applicazione della legge di riforma ebbe per interprete protagonista come ministro della Sanità, dopo una lunga serie di esponenti democristiani e socialisti, un uomo politico appartenente al partito liberale che aveva votato contro la legge.

… c’è da domandarsi perché mai nel proseguire del tempo sia stata ritardata o mancata un’adeguata attuazione delle Leggi di riforma … La riforma sanitaria fu un fatto positivoscrive Franco Della Perutain “Storia del  Novecento. Dalla “grande guerra” ai nostri giorni” 1991 -, ma il suo spirito informatore, che rispondeva a criteri di razionalità economica e di equità sociale, venne spesso tradito negli anni seguenti in seguito al cattivo funzionamento di molte USL e agli episodi di lottizzazioni verificatesi all’interno di questi organismi, divenuti spesso centri di potere clientelare.”

 L’aver previsto, nella dichiarazione di voto alla Camera del 16 dicembre 1978, – ricordaG. Berlinguer – le difficoltà che sarebbero insorte per una legge << affidata a un governo che non riflette la maggioranza riformatrice >>, e l’aver segnalato l’arrivo di << ostruzionismi e sabotaggi, col rischio che la riforma sanitaria diventi un guscio vuoto, dentro il quale progredisca l’opera di disfacimento dei servizi esistenti >>, non è certo consolatorio”. G.B. in “Gli anni difficili della riforma sanitaria” 1982

E ancora G. Berlinguer: “ Le prospettive non sono rosee, né la riforma sanitaria potrà dare in tempi brevi risposte rassicuranti. Il suo rapporto con i medici è peraltro fra i più controversi: vi è la critica per essere stati esclusi da ogni decisione, e vi è l’addebito di averla ostacolata … Esclusi o autoesclusi? Nell’elaborazione della legge, no di certo. Come procedura, vi sono state audizioni parlamentari degli Ordini e dei sindacati professionali, e migliaia di convegni e assemblee tra medici e politici di tutti i partiti. Come sostanza, il rapporto di lavoro è stato definito in base a equilibri (purtroppo instabili) tra esigenze pubbliche e private, condiscendendo fin troppo, a volte, alle pressioni dei settori tradizionalisti della categoria. Ma questa è stata una delle condizioni, sostenuta principalmente dalla DC, perché la legge potesse essere approvata; e negli articoli, tutto sommato, si dava una chiara priorità all’interesse collettivo. L’opera successiva del governo si è mossa in direzione opposta.” In la “ professione del medico” Feltrinelli 1982

Nella sua relazione alla riunione nazionale del PCI del 28 novembre 1979 sulla riforma sanitaria il comunista prof. Giovanni Berlinguer fa il punto politico:

Per l’avvio della riforma sanitaria ci sono vive preoccupazioni quasi un senso di allarme. … Dobbiamo respingere queste offensive controriformatrici mostrando che la riforma sanitaria è uno dei frutti, forse tra le leggi migliori, della politica di solidarietà democratica. Ma dobbiamo essere consapevoli che essa rischia di essere vanificata e travolta da tre contraddizioni … La prima riguarda lo schieramento riformatore. La sua incisività si è appannata. Fra le classi lavoratrici, la richiesta di maggiore salute e sicurezza è sentita come e forse più di prima, ma nel movimento sindacale questo tema si è offuscato … La seconda contraddizione … riguarda la guida politica. La legge sanitaria è stata approvata in un clima, da una maggioranza, con rapporti elettorali e politici più favorevoli rispetto agli attuali … Per inettitudine, ma più ancora per malizia, il governo fa il posssibile per dare di questa riforma un’immagine di danno e di disordine, agli occhi della gente. …o si realizza un’omogeneità d’intenzioni e di comportamento … oppure nessuna legge può essere garantita da distorsioni e stravolgimenti. Questo è il motivo essenziale della rottura della solidarietà democratica. … La terza contraddizione è ancora più profonda: riguarda la sfasatura di sostanza, di luoghi e di tempi fra una riforma che ha una chiara impronta socialista e un paese a struttura capitalista. L’impronta è chiara: la prevenzione sociale delle malattie, l’uguaglianza nelle cure, la partecipazione popolare nei servizi non rispondono alla logica liberista. Tutt’altro. Per giunta, il capitalismo italiano ed europeo cerca di superare le attuali difficoltà con due linee che lo pongono in rotta di collisione con queste finalità: cerca infatti di ridurre le spese sociali privatizzando i sevizi, a danno dei più poveri; e di migliorare le sue capacità concorrenziali intensificando lo sfruttamento degli uomini e la rapina dell’ambiente, ed accrescendo così il carico di danni e malattie cui dovrebbe far fronte il servizio sanitario. … Anche in questo campo: o si realizza una tendenziale omogeneità e coerenza fra servizi e struttura sociale, fra le singole riforme e gli sviluppi dell’economia nazionale, o si avranno rotture e regressioni” in “Gli anni difficili della Riforma” 1982

Dopo 14 anni (ad anno dalla definitiva dissoluzione del URSS), nel dicembre 1992, le classi dirigenti che per trent’anni si erano opposte all’istituzione del Ssn e da subito avevano boicottato la riforma 833, fanno passare la loro controriforma con la legge 502 (governo G. Amato ministro sanità il liberale De Lorenzo) in cui si eliminano i Comitati di gestione, si sostituisce l’Ulss con l’Azienda sanitaria a gestione tecnica con la figura del Direttore Generale, si introduce il sistema di contabilità tramite i DRG usati dalle assicurazioni private americane e si da la possibilità (art. 9) al singolo cittadino di uscire dal SSN portando con se parte del contributo sanitario versato: tutto al grido di fuori la politica dalla gestione della sanità; le classi dirigenti, a soli grazie ai loro mezzi di informazione, sfruttando sapientemente a proprio vantaggio lo shock generato nel paese da Mani Pulite. L’anno successivo, caduto il governo Amato, il nuovo governo Ciampi abolisce l’articolo 9 della legge 502. Dopo 6 anni, nel 1999, il governo d’Alema (ministro sanità Rosy Bindi) vara la terza riforma sanitaria con la legge 229. La riforma, anche se è una ripresa della strada della democrazia solidale è ancora una volta un compromesso:

La riforma Bindi – ricordaSaverio Luzzi – non rovescia i cardini di quella varata da Francesco De Lorenzo. I criteri della regionalizzazione e dell’aziendalizzazione non sono stati cancellati, anche se si è comunque dato alla nuova legge un aspetto più attento alla solidarietà tra le regioni anche grazie alla grande importanza del ruolo del Psn (piano sanitario nazionale) – e, quindi, dello Stato a svantaggio delle regioni – nella determinazione delle linee di funzionamento della sanità pubblica. La legge è stata anche molto ferma nello stabilire che l’eventuale istituzione di fondi integrativi di mutualità vada a finanziare solo prestazioni aggiuntive rispetto a quelle garantite dal SSN. … La novità più rilevante della riforma Bindi è tuttavia il regime di esclusività per i medici che lavorano alle dipendenze del servizio pubblico (cosa già prevista nella 883 ma che non si era mai riusciti a realizzare, ndr). … L’attuazione limitata della riforma Bindi non è tanto dovuta all’ostilità dei medici: essa c’è stata, ma va detto che la maggioranza dei camici bianchi ha visto con favore il dettato del Decreto legislativo 19 giugno 1999, n.229. L’elemento che ha agito da freno è stata invece l’enorme rissosità delle forze di centro-sinistra durante la XIII legislatura … La successiva sconfitta delle forze del centro-sinistra ad opera della Casa delle Libertà guidata da Silvio Berlusconi avvenuta nel maggio 2001 … ha poi fatto si che l’attuazione della riforma Bindi venisse del tutto accantonata a favore di modelli che non sembrano ancora essersi delineati. Quella enorme batosta ha avuto come causa principale, come ha detto Nicola Tranfaglia, una serie di errori “dovuti anche alle carenze della linea politica e alle riforme spesso iniziate e lasciate a metà”. Tra quelle riforme iniziate e lasciate a metà vi era, e non certo per colpa dell’ormai ex ministro della sanità, anche quella di Rosy Bindi.” In “Salute e sanità” Donzelli 2003

 Cosa fare?Oggi, ancora una volta di più, come ricordava Berlinguer nella relazione alla riunione nazionale del PCI sula riforma sanitaria:

La partita, a livello di massa, si gioca soprattutto sul terreno della efficienza delle prestazioni … perché le disfunzioni della sanità pubblica sono uno degli aspetti più umanamente percepibili delle diseguagilanze sociali, e la lotta dei diritti del malato è un terreno essenziale della lotta di classe. Questa lotta non si svolge soltanto nei rapporti di produzione, ma nei consumi e nei servizi. Anzi spesso il cittadino si presenta più come utente di servizi che non come produttore”.

Pretendere il rispetto e l’applicazione nella organizzazione del lavoro nelle Ulss delle buone leggi che il Parlamento ha emanto in sanità, tra cui il diritto di scelta dello specialista con l’impegnativa (legge Bindi) e tempi d’attesa eguali tra prestazioni chieste con l’impegnativa e quelle a pagamento (legge Turco) è il compito principe della buona politica e probabilmente anche l’ultima occasione disponibile perchéi modelli che nel 2003 Saverio Luzzi non vedeva ancora delineati, oggi sono alla luce del sole, li chiamano welfare aziendale, e sono sostenuti da uomini del partito di governo guidato dal democristiano neoliberale Renzi. Sono modelli neoliberali avanzati in ossequio alla richesta dei così detti mercati”cioè i possessori-gestori del capitale finanziario:

Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica (…) Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea documento del 2013 della direzione della banca J.P. Morgan. Riportato da “il Fatto Quotidiano” 13 luglio 2015

I banchieri della J.P. Morgan hanno ancora uno scudo da infrangere, la Costituzione italiana, appunto: il ritorno della organizzazione di accesso alle cure sanitarie differenziata per censo è in totale contrasto con la nostra Carta costituzionale repubblicana: art 2; art 3 comma 2; art 32.

Coloro che perseguono la strada del definanziamento del Ssn, anche tramite la decontribuzione fiscale alle imprese, ai fini di riportarci in dietro di 37 anni al sistema delle Assicurazioni di malattia (mutue), in cui la qualità delle cure è in relazione alle disponibilità economiche del singolo (o al tipo di assicurazione mutualistica), violano la possibilità di esercizio del diritto costituzionale e ne dovranno risponderne.

Cordili saluti

Maurizio Nazari 15 febbraio 2016 

Comments Closed

Comments are closed. You will not be able to post a comment in this post.