Vittoria dei golpisti brasiliani e durissima sconfitta della Presidente Dilma, delle forze della sinistra, della democrazia. Domenica 17 aprile, con 367 voti a favore, 137 contro, 7 astensioni e due assenti giustificati per malattia, la Camera dei deputati brasiliana ha votato a favore del procedimento di impeachment contro la Presidente Dilma Roussef, accusata di irregolarità nella pubblicazione del bilancio federale.
Dilma e Lula
Il procedimento è passato al Senato, dove è poco probabile che si inverta la tendenza. Il suo Presidente dovrà formare una commissione per decidere se accogliere la proposta e, in caso positivo, l’impeachment sarà votato dall’aula. La Presidente avrà poi 180 giorni per difendersi davanti alla Corte Costituzionale. Infine, il Senato dovrà votare di nuovo, dopo aver ascoltato la difesa della Presidente. In caso di voto favorevole dei due terzi degli 81 senatori, Dilma Rousseff decadrebbe dall’incarico e il vice presidente Michel Temer, si insedierebbe ufficialmente con l’incarico di formare il governo. Da notare che lo stesso Temer, del Partido del Movimiento Democrático Brasileño (PMDB), ex-alleato di governo, è a sua volta sottoposto ad una richiesta di impeachment.
Michel Temer
Tra le dichiarazioni di voto contro Dilma dell’opposizione, molte dedicate a” Dio, Patria e Famiglia”, tra le più sfacciate quella di Jair Bolsonaro (Partito Progressista, di estrema destra), un ex-militare che ha dedicato il suo voto al colonnello Carlos Alberto Brilhante Ustra, uno dei torturatori di Dilma quando era in prigione durante la dittatura (1964-1985). “Hanno perso nel 1964 (data del golpe militare contro Joao Goulart) e perderanno nel 2016…” ha detto Bolsonaro. “Contro il comunismo, il Foro di Sao Paulo, per le Forze Armate e soprattutto per Dio, il mio voto è sì”. Una dichiarazione accolta da applausi dai banchi dell’opposizione.
Come già segnalato in precedenza, nonostante il candidato del Partito dei Lavoratori (PT) abbia vinto le elezioni per la quarta volta consecutiva, la composizione del Parlamento si è spostata notevolmente. Con l’appoggio della grande finanza e dei maggiori media, la destra è riuscita ad eleggere il peggior parlamento dal ritorno della democrazia. Un parlamento con una maggioranza composta da fondamentalisti evangelici, rappresentanti dei latifondisti e dell’agro-business, dalla lobby dei venditori di armi, dei mezzi di comunicazione privati (i cosiddetti “colonnelli elettronici”), dai rappresentanti delle compagnie di assicurazione private del settore della salute, dai fautori dell’educazione privata a scapito di quella pubblica.
Un Parlamento che, infatti, si è ben guardato dal mettere in agenda la Riforma politica, quella elettorale e quella dei mezzi di comunicazione.
È così che, in un ambiente grottesco, si è consumato il golpe dei corrotti, che ha utilizzato la falsa bandiera della lotta alla corruzione, leitmotiv della contro-offensiva delle destre continentali e di Washington. In altri termini, il bue dice cornuto all’asino.
Una Camera dei Deputati macchiata dalla corruzione, al comando del suo presidente evangelico Eduardo Cunha, (investigato per corruzione nel Processo Petrobras e con diversi conti bancari in Svizzera), consegna il governo al vicepresidente Michel Temer, un traditore in combutta con Eduardo Cunha, dello stesso PMDB.
La destra, che non aveva accettato la sconfitta elettorale, cerca di tornare al governo con il golpe parlamentare.
Esattamente il 17 aprile di 20 anni fa, veniva commesso il massacro di Eldorado dos Carajás, con l’omicidio poliziesco di 19 contadini senza terra che reclamavano terra ed una riforma agraria.
Per completare il quadro, il giudice della Corte Suprema di Giustizia, Gilmar Mendes, ha sospeso sine die la nomina di Lula a Ministro della Presidenza, in quanto “la sua carica potrebbe ostacolare le indagini contro di lui”, per i suoi presunti vincoli con il caso di corruzione ed il riciclaggio di denaro dell’impresa Petrobras.
Una farsa parlamentare
Che nessuno si inganni. Il voto di domenica scorsa non ha nulla a che vedere con la lotta alla corruzione. L’obiettivo delle forze economiche e politiche che hanno alimentato questa farsa, è quello di liquidare i diritti sociali e dei lavoratori. Il blocco sociale golpista è formato in primo luogo dalla Confindustria brasiliana (con la FIESP di Sao Paulo in prima fila, come già avvenne nel golpe del 1964) apertamente schierata con l’impeachment, settori della Polizia Federale e del Potere Giudiziario, esponenti politici dei partiti sconfitti nelle urne come il PSDB di Aecio Neves e del PMDB fino a ieri alleato di governo di Dilma. Da non dimenticare il generoso aiuto dei media golpisti (Rete Globo in prima fila) che hanno incitato e dato copertura a un’operazione condotta da settori della magistratura e della polizia contro la sinistra al governo. Il possibile bottino fa gola all’oligarchia brasiliana e alle multinazionali straniere (e non solo): le enormi ricchezze minerarie del Paese, gli enormi giacimenti petroliferi del “Pre-sal”, le grandi imprese statali da privatizzare (a partire da Petrobras).
La strategia dei golpe istituzionali
Lo abbiamo detto più volte e lo torniamo a ripetere. A partire dal golpe istituzionale contro il presidente Manuel Zelaya in Honduras e quello contro il Presidente de Paraguay, Fernando Lugo, la strategia di Washington e delle destre latino-americane per far cadere governi progressisti ha messo da parte l’intervento militare (per ora) e i bagni di sangue di massa. La strategia dei “golpe istituzionali” utilizza l’artiglieria mediatica, settori del potere giudiziario, delle forze dell’ordine e del parlamento, imprenditori consenzienti, per istallare presidenti fantoccio. Sarà pura coincidenza che l’attuale ambasciatrice statunitense in Brasile, Liliana Ayalde, sia la stessa che stava in Paraguay poco prima del golpe parlamentare contro il legittimo presidente Fernando Lugo ? E che nella sua lunga carriera diplomatica sia stata in Nicaragua, Bolivia, Colombia, lavorando tra gli altri con la USAID, l’agenzia statunitense in prima fila nei tentativi di rovesciare i governi legittimamente eletti, ma scomodi per la Casa Bianca ?
Nel caso brasiliano, non c’è dubbio che siamo davanti a una variante “carioca” della stessa strategia. In questo caso non si tratta di un governo della “sinistra populista” come le destre internazionali e il Dipartimento di Stato definiscono quelli di Nicolas Maduro, Evo Morales e Rafael Correa (quest’ultimo oggi alle prese con gli effetti devastanti di un terremoto che ha colpito il Paese). Al contrario, quelli di Dilma, Lula e Bachelet sono stati presentati fino ad oggi come governi “sensati”, quasi da “terza via”.
In Argentina, con un potere giudiziario in parte corrotto, l’attacco è contro la ex-Presidente, Cristina Kirchner, ma data la storica capacità di mobilitazione di massa, la strategia del “golpe blando” si scontra con una risposta popolare contro il governo di Macri. Lo stesso Macri, accusato di evasione fiscale tramite imprese ubicate nei paradisi fiscali, cerca di dividere il peronismo per sbarazzarsi dei suoi settori più “kirchneristi”.
E in Venezuela, Bolivia, Ecuador, El Salvador non si ferma il tentativo di destabilizzazione.
Due piccioni con una fava: golpe ai Brics
Da non sottovalutare l’impatto geo-politico dei fatti brasiliani sul continente e sul blocco dei BRICS (Brasile, Russia, Cina, India, Sud Africa), un’alleanza che mette in discussione il dominio uni-polare statunitense. Alla crisi economica mondiale, c’è da aggiungere la situazione interna dei Paesi che lo compongono, a partire dalla contrazione della domanda cinese, la caduta dei prezzi del petrolio e le sanzioni contro la Russia, la crisi politica interna in Sud Africa, la caduta nei sondaggi del governo indiano.
A pochi mesi dalle olimpiadi che si terranno nel Paese, il Brasile vive oggi una delle peggiori crisi politiche e di incertezza sul futuro. Una fase destinata a durare a lungo e che mantiene il Paese ed il continente con il fiato sospeso.
Se la strategia golpista funzionerà fino in fondo, il nuovo governo sarà nelle mani di Michel Temer, un personaggio screditato e senza legittimità, appoggiato da una opposizione dispersa, senza un progetto di governo chiaro e condiviso. E nessuno crede davvero che Temer possa garantire stabilità e fare uscire il Paese dalla crisi politica ed economica.
Il possibile nuovo governo dovrà affrontare una seria recessione, in uno scenario economico pieno di dubbi. Allo stesso tempo se la dovrà vedere con la dura opposizione dei movimenti sociali, delle principali centrali sindacali, dei partiti della sinistra (che hanno già annunciato di considerarlo illegittimo) e di tutti coloro che non accettano questo ennesimo golpe istituzionale contro una Presidente che non ha commesso nessun reato che giustifichi la sua destituzione forzata.
Una delle ipotesi più probabili è che si arrivi ad elezioni anticipate prima della scadenza del 2018, con una possibile ri-candidatura di Lula, soprattutto se saprà accompagnare le mobilitazioni popolari di questi giorni e dei prossimi mesi.
Il gigante Brasile non dorme, in uno scenario convulso, seguito con attenzione in tutto il mondo.
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