Fonte: http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=22588
Ramon Mantovani
Sono seguite roboanti dichiarazioni di protesta di esponenti di Sinistra Italiana e del Movimento 5 Stelle. Numerosi articoli critici con la decisione del PD, del Governo, e della maggioranza della Camera. Tra i quali uno ottimo di Marco Bersani, esponente del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, nel quale si preannunciano mobilitazioni.
In questa sede è del tutto superfluo insistere sul fatto in sé.
È evidente che si tratta di un evento di inaudita gravità. Sia sul piano democratico sia su quello dei contenuti.
Tuttavia c’è qualcosa che non va nelle proteste ed anche nelle descrizioni del “misfatto”.
O meglio, c’è qualcosa che manca.
E senza questo “qualcosa”, come vedremo, la contestazione della privatizzazione dell’acqua, e le conseguenti mobilitazioni, rischiano di essere inefficaci.
Da anni, per non dire ormai da decenni, in tutto il mondo, e in particolare nei paesi dove la gestione del bene comune acqua era o è integralmente pubblica, è in corso il tentativo, già riuscito in molti casi, di affidare la gestione dei sistemi di distribuzione e manutenzione dell’acqua a società private, riconoscendo loro il diritto di estrarre dall’attività un profitto.
Per quanto possa apparire “irrazionale” che un bene indispensabile alla vita stessa possa divenire fonte di guadagno per società private, in realtà non lo è.
È certamente irrazionale dal punto di vista dell’umanità, delle specie viventi e dello stesso nostro pianeta. Ma non lo è per il mercato, per il sistema finanziario e in definitiva per il capitalismo.
La ricerca del massimo profitto non conosce limiti. Né ambientali, né sociali, né politici e né democratici.
I limiti imposti al capitale nello scorso secolo, sia dalle lotte del movimento operaio sia dagli stati nazionali (che hanno applicato le teorie keinesiane in risposta alla crisi del 29), sono risultati incompatibili con lo sviluppo capitalistico, e soprattutto con la finanziarizzazione che ne contraddistingue l’attuale fase.
Non si tratta soprattutto di “cattiveria”, di “cinismo”, di “egoismo” o di “avidità”. Tutte cose rintracciabili in quell’uno per cento dell’umanità che possiede più della metà della ricchezza mondiale. Si tratta invece di una necessità esiziale affinché il sistema capitalistico possa continuare ad esistere. Esso per continuare ad esistere ha bisogno di espandersi e mercificare tendenzialmente tutto. In altre parole si tratta di un meccanismo intrinseco alla natura stessa del sistema capitalistico, e non di un incidente o di un’escrescenza estemporanea propiziata magari da governi corrotti o semplicemente irresponsabili.
Non pretendo certo, in queste brevi note, di dimostrare l’assunto più sopra esposto. Eppure la semplice osservazione dei fatti dovrebbe almeno far riflettere tutti coloro che si sono mobilitati e si mobilitano in difesa dell’acqua bene comune.
È secondo me evidente che coltivare l’illusione di poter difendere i beni comuni individuando come nemico il governo di turno, senza la sufficiente consapevolezza delle reali origini del problema, può portare a gravi ed irrimediabili disillusioni.
Questa considerazione non incide minimamente sugli obiettivi della lotta in difesa dei beni comuni.
Lottare affinché la gestione dell’acqua sia ispirata dagli interessi e dalle necessità della popolazione è un obiettivo sacrosanto, giusto, comprensibile ed anche realizzabile.
Ma bisogna, per non vedere rifluire la lotta alla prima battaglia, sapere che si tratta di una guerra mondiale e non di una scaramuccia con un Renzi di turno. Bisogna avere coscienza di quali interessi concreti si combattono. Bisogna, accanto alla lotta per gli obiettivi immediati, costruire un progetto alternativo al sistema che necessita la privatizzazione e la mercificazione di ogni cosa. Bisogna condurre una battaglia culturale e ideologica contro l’egemonia del pensiero dominante che considera “naturale” e perciò privo di alternative lo stato di cose esistente.
Per non essere frainteso concludo questa prima serie di considerazioni chiarendo che il movimento e la mobilitazione in difesa dei beni comuni in nessun caso devono, secondo me, dividersi fra anticapitalisti e riformisti. Senza per questo evitare, eludere o sottovalutare la necessità di discutere approfonditamente e seriamente in sede di analisi due cose: l’origine dei problemi che si affrontano con la lotta e la fattibilità e realizzabilità degli obiettivi della lotta.
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