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Il sistema che “infrastruttura” la Padania. Intervista a Wu Ming 1 – OFFLINE NEWS

Fonte: http://www.off-line.news/2017/01/30/il-sistema-che-infrastruttura-la-padania-intervista-a-wuming1/

Wu Ming 1 è stato ospite di BiosLab con un’affollata presentazione del suo ultimo libro e il successivo reading con Bhutan clan

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Ne abbiamo spudoratamente approfittato per un’intervista sul «modello grandi (e “piccole”) opere» che devasta non soltanto il panorama della pianura padana: ispira anche la “riscossa” politica di chi candida a sindaco di Padova proprio l’ideologia della… sussidiarietà nazionale.

L’idea del cemento arma sempre il “modello di sviluppo”: in Emilia e in Veneto spiccano le analogie più che le differenze. Come si articola la rapina delle risorse? Qual è l’ideologia del Grande Business a senso unico?

L’attuale forma di capitalismo italiano, indipendentemente dagli attori (che possono essere LegaCoop o altri soggetti), sa immaginare soltanto il consumo di suolo, la cementificazione, far girare le betoniere, il movimento terra ecc. Non c’è nessun’altra strada che venga percorsa tranne questa, che è sempre la più facile. Le Grandi Opere sono il perno del modello di capitalismo italiano di questi anni. Devono essere realizzate, al di là dalla loro utilità e a prescindere da qualunque destino poi le attenda. Vengono costruite, poi possono anche andare in rovina: l’importante è averle realizzate. Se poi vanno in rovina, anzi, si faranno nuovi appalti per sistemarle, o anche demolirle, per costruire altre opere ancora più insensate.

Gli unici che traggono vantaggio dalle Grandi Opere sono quelli che le costruiscono e riescono a drenare fondi pubblici. Tutte quante attingono al nostro portafoglio: anche le Grandi Opere che si dicono finanziate con capitali privati grazie al project financing, in realtà sono pagate con soldi pubblici. I millantati “privati” sono in realtà Società per Azioni possedute dallo Stato (e questa è la storia dell’Alta Velocità ferroviaria in Italia), oppure i soldi vengono dalla Cassa Depositi e Prestiti (che è sempre una SpA dello Stato) e i prestiti sono garantiti dallo Stato. E quando le società che gestiscono le Grandi Opere sono in difficoltà finanziarie o falliscono, vengono salvate dallo Stato con soldi nostri. Basti pensare all’autostrada E35, la BreBeMi.

È questo il modello che viene perseguito. Se dovessimo davvero analizzare cos’è il capitalismo italiano oggi, dovremmo guardare a Grandi Opere, cemento, tondino, mattone, edilizia, operazioni immobiliari. Un modello stagnante e regressivo, che estrae valore raschiando il fondo del barile, anzi, del baratro. Però nessuno lo vuole mettere in discussione.

Ancora oggi nel discorso pubblico veicolato dai grandi media, tutto questo viene spacciato come progresso, lo stagnante viene descritto come dinamico e la neolingua chiama «Sblocca Italia» un decreto che congestiona il territorio. È come dire che emorroidi e ragadi anali favoriscono un gioioso defecare.

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Mose in concessione unica: la più Grande Opera della storia della Repubblica. Expo 2015: la vetrina non solo renziana del “compromesso storico” in economia. A Padova ha sede Mantovani, l’azienda-chiave del Consorzio Venezia Nuova che ha vinto anche l’appalto per la “piastra” di Rho…

Non c’è da sorprendersi. Se uno pensa alle regioni più cementificate d’Italia, il Veneto spicca. La pianura veneta e padana in generale “regala” un sintomatico colpo d’occhio del capitalismo: se si scorge un anfratto, se “brilla” uno spazio vuoto, scatta il dovere di colmarlo di asfalto e cemento. Anche dopo anni di crisi, con i capannoni vuoti, i centri commerciali con le serrande abbassate… È normale che le aziende venete, lombarde, emiliane rappresentino l’avanguardia di questa retroguardia. Il Veneto poi, è il luogo più aggredito dai progetti di Grandi Opere: oltre ad avere quella più mastodontica e insieme sconcertantemente inutile, cioè il Mose, sul piatto ora ci sono progetti come Pedemontana, Alta Velocità, Veneto City, nuova Romea commerciale. Un florilegio, quasi un impazzimento cellulare, come avviene col cancro.

È l’ossessione nei confronti del territorio: volerlo riempire di infrastrutture. In Italia i rapporti certificano un consumo di suolo pari al 7% del territorio, che già è un record europeo.

Sembra una piccola percentuale, tuttavia se si pensa che in Italia ci sono montagne e altre zone “inadatte”, significa l’equivalente di una regione come il Veneto senza più nemmeno un centimetro quadro che non sia cemento.

Ma c’è un “primato nel primato”, in cui il Veneto si rivela più avanti di altri. L’Italia è il paese con il maggior consumo di suolo determinato non da edilizia abitativa ma da infrastrutture di trasporto. È un paese pesantemente infrastrutturato, e pensiamo al Veneto: le rotatorie da un ventennio infilate ovunque, gli svincoli, i megaparcheggi, le strade e autostrade, l’alta velocità…

Eppure, la classe dirigente continua ad attivare il frame narrativo della “carenza di infrastrutture”. Ogni nuovo progetto di Grandi Opere viene “giustificato” da queste presunte “carenze”. La BreBeMi a cosa serve? La Pedemontana a cosa serve? Correrà parallela ad altre tre strade. Servono a chi le costruisce. Servono a chi ha gli appalti.

Mafie in Padania: un’evidenza che si preferisce rimuovere. Forse perché rivela anche connessioni con altri mondi?

C’è un aneddoto che ritengo non vero, una leggenda metropolitana secondo cui il capo del clan di Cutro in Calabria avesse nel proprio studio, incorniciata, la foto del sindaco di Reggio Emilia. È un’iperbole, una cazzata, però è assodato da tempo un fortissimo coinvolgimento di aziende della ‘ndrangheta nelle grandi operazioni edilizie e immobiliari che negli ultimi vent’anni, complici gli enti locali, hanno aggredito il territorio emiliano.

L’inchiesta della magistratura “Aemilia” ha fatto emergere molto, eppure ha solo grattato la superficie. I giornali ne parlano ogni tanto, ne parlano un giorno e poi si passa ad altro, senza unire i puntini numerati. Così sembra che la mafia sia qualcosa di “estraneo” che si “infiltra” episodicamente nel tessuto emiliano che è in sostanza “sano”. Invece, in tutta la Padania la mafia è strutturalmente presente da decenni: in Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia.

E in tutta la Padania, negli atti delle inchieste vedi nominati insieme dirigenti di cooperative ex-“rosse”, esponenti del capitale di ispirazione ciellina e boss della ‘ndrangheta. Le mire di queste tre “sezioni” del capitalismo italiano convergono sulle Grandi Opere e, come è stato detto più volte, “la mafia ha rotto gli argini”, non valgono più a nulla gli steccati che separavano quei mondi e quei soggetti. Può essere visto soltanto come un quadro sconfortante, oppure può servire a capire una cosa: le lotte contro la cementificazione e le Grandi Opere sono oggi lotte cruciali, attaccano direttamente il fulcro del capitalismo italiano.

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