Organizziamo l’astensione e il boicottaggio, a partire dalle resistenze nei territori e dalle lotte contro la precarietà e lo sfruttamento!
Dopo aver propagandato per decenni la necessità della separazione delle regioni del Nord, la cosiddetta Padania dal resto d’Italia, la Lega di Salvini, alla ricerca di un consenso più largo su scala nazionale, abbandona i temi fondanti delle origini e si ricicla secondo le linee di propaganda della destra populista e nazionalista europea. Il modello più volte richiamato è quello del Fronte nazionale francese della Le Pen: sovranista, nazionalista, antieuropa e antieuro. Bossi, il vecchio padre fondatore, finisce in soffitta insieme ai suoi guai giudiziari.
Cavalcando l’onda crescente della xenofobia e del razzismo, della guerra contro gli ultimi e i diversi, favorita dagli effetti devastanti delle politiche liberiste che incidono ferocemente nelle condizioni di vita della maggioranza delle cittadine/i, la nuova Lega Nord rimuove dal simbolo la sua vecchia parola d’ordine, l’indipendenza del Nord, e recluta massicciamente nel resto della penisola tra i cascami della destra neofascista.
Un’operazione politica che, se paga elettoralmente nell’immediato, entra in rotta di collisione con le basi fondanti del suo tradizionale radicamento: basi sociali, culturali e ideologiche. Un rinculo che può produrre il distacco di una parte considerevole dell’elettorato tradizionale, lo zoccolo duro che ha consentito alla Lega di resistere anche nei momenti più difficili. Con abilità degna di Petrolini, sulla scena del teatro della politica, Salvini e il suo partito riescono, per ora, a interpretare le classiche due parti in commedia. Da un lato si esibiscono nel ruolo dei difensori del popolo dalla presunta invasione di profughi e migranti, dell’interesse degli italiani contro le burocrazie europee e della moneta nazionale. Dall’altro, con i Referendum di Veneto e Lombardia, alimentano le sirene dell’indipendentismo e degli egoismi localistici di territori le cui economie si sono comunque sviluppate con copiosi finanziamenti pubblici e investimenti infrastrutturali promossi dallo Stato italiano fin dalle sue origini.
Nel cuore dell’insediamento storico padano, bisogna continuare a macinare lo stesso grano di sempre, con la stessa furbizia da commedianti che distingue la prassi politica dei populisti in ogni parte del mondo. Mentre al Sud i temi sono quelli del nazionalismo più becero, al Nord si fa propaganda con la parola d’ordine più semplice e comprensibile per la base sociale e politica della Lega: “Paroni a casa nostra” diventa “schei a casa nostra”. Mentre è facile e comprensibile lungo tutto lo stivale agire la propaganda anti profughi entrando nel corpo vivo delle contraddizioni materiali che colpiscono in ogni parte del paese per effetto della crisi e delle politiche liberiste dei governi che si sono succeduti in questi anni, di centrodestra e centrosinistra, fedeli esecutori del mandato delle burocrazie e degli interessi dominanti in Europa, molto, molto più difficile coniugare in un’unica salsa i bisogni e gli interessi delle regioni più povere con l’egoismo fiscale propagandato al Nord, con l’idea nemmeno tanto velata di secessionismo indipendentista che almeno nel Veneto accompagna il referendum per l’autonomia.
Questa evidente contraddizione mostra con chiarezza la strumentalizzazione sul piano politico della propaganda dei due referendum sull’autonomia in Veneto e in Lombardia. L’uso tutto politico e propagandistico da parte della Lega del tema dell’autonomia fa da contraltare alla subalternità politica e ideologica di chi, nella nostra regione la grande parte delle forze politiche rappresentate in consiglio regionale, si accoda a un’onda che si presume maggioritaria dal Pd ai 5stelle compresi. Il quesito in Veneto, l’unico rimasto in vita dei cinque sottoposti alla Corte Costituzionale, chiede alle cittadine/i se vogliono che alla “Regione Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di Autonomia”. Nella sostanza e al di là delle chiacchere, quelle stabilite in costituzione all’art 116 che poteva, volendo, essere agito per iniziativa del governo della regione da qualche lustro dopo la modifica dell’articolo V della costituzione (anno 2000). Cosa mai fatta in tutti questi anni.
Si spendono 15 milioni di euro, mentre se ne tagliano 11 per il trasporto pubblico locale, per un’operazione di propaganda con fini evidentemente di parte: il mascheramento dell’operazione trasformista della Lega salviniana e la conferma del blocco politico che ha governato la nostra regione per troppo tempo. Un blocco politico che, mentre alza la bandiera del venetismo più becero porta la piena responsabilità della più consistente cementificazione del territorio, non a caso nella percentuale più alta a livello nazionale dopo la Lombardia, della connivenza politica con i predatori delle banche popolari venete difesi fino all’ultimo, quando già erano evidenti e note le operazioni truffaldine che ne segnavano la gestione, della rapina di soldi pubblici e di innumerevoli irregolarità che hanno accompagnato il percorso di realizzazione della Pedemontana Veneta. Un blocco politico che, a livello locale e in regione, ha fatto finta di non vedere gli effetti devastanti dell’inquinamento generato dagli sversamenti di inquinanti (i Pfas) nelle falde acquifere della pedemontana vicentina.
Già nel 1995 il nostro compianto compagno Cerretta, cittadino di Montecchio Maggiore, denunciava questa situazione in consiglio provinciale, e ancora nel 2013, l’allora consigliere regionale della Federazione della sinistra e di Rifondazione comunista Pierangelo Pettenò ribadiva la necessità di interventi decisi per impedire il disastro che oggi è sotto gli occhi di tutti. Il tardivo impegno, la commissione di inchiesta oggi attiva in regione, non coprono per nulla le responsabilità del centrodestra e della Lega per decenni silenti e proni di fronte agli interessi dei padroni. Un blocco politico in larga parte coinvolto nella grande corruzione del Mose e nella progressiva privatizzazione della sanità veneta.
Per chi come noi si è opposto all’abolizione delle provincie e al tentativo di ridurre i poteri delle autonomie locali inscritto nel referendum costituzionale di Renzi, il tema all’ordine del giorno non è quello della difesa dell’impianto centralista e burocratico dello stato, ma quello di un federalismo autenticamente democratico, che abbia le sue basi nel rafforzamento della possibilità più larga di autogoverno delle comunità locali, a partire dalle città e dai municipi, tendenza di lungo periodo nella storia del nostro paese e ancora di più grande attualità dentro le contraddizioni prodotte dalla globalizzazione. Nulla a che fare con la storia della “serenissima repubblica” dell’aristocrazia terriera che ha dominato il Veneto sotto le insegne di San Marco ed ha continuato a mantenere ricchezze e privilegi a danno delle classi subalterne, fino alla più recente storia repubblicana.
Non siamo nostalgici del centralismo statalista, ma vediamo con chiarezza il tentativo di sabotare le fondamenta della repubblica nata dalla Resistenza e i suoi principi di solidarietà ed eguaglianza tra le cittadine e i cittadini, tentativo ben piantato nella retorica che accompagna la campagna referendaria leghista e nel sostegno di Confindustria. Non vogliamo avere nulla a che fare con il tentativo di questo ceto politico di riprodursi e rilegittimarsi. Un ceto politico regionale ben associato a un blocco delle imprese e della finanza dell’economia veneta che ha devastato l’ambiente e impoverito il lavoro, collocandolo all’ultimo posto nelle regioni del nord per livello dei salari e degli stipendi.
È nostro compito lavorare con intelligenza affinché la partecipazione a quello che Zaia e la Lega vorrebbero fosse un plebiscito veda la più bassa partecipazione possibile. La data scelta – il 22 ottobre – che vorrebbe richiamare la “nefasta” annessione del Veneto al resto d’Italia, indica con chiarezza che è quello il modello.
Il nostro obiettivo deve essere quello di smascherare l’operazione politica della Lega: l’uso strumentale del tema delle autonome dei territori, impedire che questo ceto politico che già tanti danni ha fatto alla nostra regione possa continuare a governarla.
Paolo Benvegnù, segretario regionale di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea del Veneto
Comments Closed