Nella settimana che sta finendo, nella sola provincia di Padova, ancora un morto sul lavoro ed un infortunio grave.
Nei primi 15 giorni dell’anno i caduti sono già 21
Il Veneto “della ripresa”, dove fioriscono i convegni sull’industria 4.0, è come sempre nelle posizioni di testa di questa tragica classifica, con la sua realtà produttiva fatta di precarietà, turni e ritmi forsennati, impianti vecchi che non garantiscono sicurezza a chi ci lavora. E la regione non ha ancora mantenuto l’impegno di garantire più controlli. Si vantano investimenti in automazione ma si aumentano i carichi di lavoro (la produttività…) aumentando così i rischi di incidenti.
Non si lavora più per vivere, si vive (e si muore) per lavorare… e non solo in fabbrica.
Che senso ha perdere una mano a 16 anni durante uno stage scolastico? E morire a 69 anni perché non si è maturata una pensione, o è troppo misera? E non poter denunciare un infortunio perché si lavora senza contratto? E non poter chiedere il rispetto delle norme di sicurezza perché si è precari e si rischia il licenziamento per ritorsione, senza formalità? Gli “incidenti” sul lavoro non sono fatalità, sono il frutto avvelenato del primato del profitto e delle politiche conseguenti, dal jobs-act, alla riforma Fornero, ai tagli alle risorse economiche e legislative, fatti anche nell’ultima finanziaria, che impediscono di fatto i controlli sulla sicurezza.
Siamo stanchi di piangere i nostri caduti: chi ha avallato queste politiche, a livello nazionale e locale, dal PD a FI alla Lega ai 5stelle, non può ora cavarsela col solito cordoglio di facciata.
Bisogna rompere il silenzio!
È necessario che la sicurezza e la salute di chi lavora diventino una priorità assoluta, e per dirlo chiaro e forte
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