Fra pochi mesi, nella primavera del 2020, nel Veneto si terranno le elezioni regionali.
La vulgata corrente dice che non ci sarà partita, che Zaia e il centrodestra dopo 25 anni di governo della regione saranno riconfermati. È possibile, probabile.
Il complesso delle contraddizioni che sono maturate in questi anni, che si sono rese ancor più manifeste con il finire di questa legislatura, non si è ancora pienamente espresso con tutta la sua forza, ma indica già la insostenibilità di un modello sociale ed economico fondato sulla rapina delle risorse del territorio, sia dal lato ambientale che da quello del lavoro. La successione sempre più potente e frequente di eventi climatici estremi rende ancora più visibile, palpabile, il disastro di decenni di assoluta indifferenza rispetto alle necessità di cura del territorio e dell’ambiente, per la salute delle cittadine/i e di qualsiasi considerazione per i limiti obbligati degli impatti delle attività economiche e produttive sulla natura.
I limiti raggiunti, oltre il tollerabile, dal consumo di suolo, l’inquinamento e il depauperamento delle falde acquifere, l’intossicazione dei terreni derivante dagli sversamenti illegali e dall’agricoltura intensiva, l’avvelenamento dell’aria che respiriamo e il diffondersi del lavoro povero, sfruttato e sottopagato, di cui Fincantieri rappresenta solo il paradigma di una condizione sempre più diffusa, parlano della necessità di una rottura di questo modello, della necessaria alternativa.
Mentre Zaia declama le performances del Veneto sotto la sua guida, citando i risultati dell’export, dei flussi turistici crescenti, delle virtù della imprenditoria Veneta, i fatti ci parlano di altro.
Ci dicono dei primati nelle malattie dovute all’inquinamento, del diffondersi del lavoro povero e sempre più sfruttato, di migliaia di giovani laureati o diplomati che si sottraggono con la fuga in altri paesi alle condizioni di precarietà che sono iscritte in questo modello tanto declamato dalla propaganda leghista e dai suoi sicofanti.
Questa realtà non cambia certamente con un passaggio elettorale e tanto meno con un cambio di ceto politico.
Solo la mobilitazione dal basso, l’estendersi del conflitto sociale e ambientale, può costruire le basi per un radicale cambiamento e quelle per la possibile alternativa a partire dalla capacità dei movimenti di imporre la propria agenda, i propri obiettivi. La nostra priorità rimane questa.
Non lo diciamo soltanto. Con i nostri pochi mezzi e con la nostra presenza organizzata in tutte le province di questa regione, cerchiamo di dare forza e strumenti alle lotte che comunque si sviluppano, in difesa della sanità pubblica, del diritto all’abitare, dell’ambiente e del territorio, del diritto a un lavoro sicuro e ben retribuito, dei diritti delle parti più deboli della nostra società.
È proprio per dare più forza e voce alla necessità di radicale cambiamento che vive nei movimenti reali che riteniamo necessario un nostro impegno per le prossime elezioni regionali nel Veneto. Un impegno che vogliamo condividere con tutte/i coloro che si battono per un Altro Veneto, che sono protagoniste/i delle lotte sociali, delle lotte ambientali e per i diritti per tutte/i senza alcuna esclusione.
Lo facciamo perché crediamo necessario mettere in campo delle discriminanti nette in questa campagna elettorale avendo chiaro che le responsabilità dei disastri sociali e ambientali contro cui lottiamo sono state largamente condivise in questi anni dal Centrodestra e dal Partito democratico in nome della centralità del mercato e dell’impresa. Grandi opere, consumo di suolo, precarizzazione del lavoro, non sono patrimonio esclusivo della destra: i fatti dicono altro, nel Veneto come a livello nazionale. Esemplare su questo piano la scelta fatta dal Governo Prodi per il Mose, condivisa dal centrodestra al governo della regione, Zaia compreso, con la sola opposizione del voto contrario del nostro compagno Paolo Ferrero in consiglio dei ministri.
È bene avere chiaro un punto. Qui non si tratta soltanto di battersi contro il centrodestra e gli esiti di un quarto di secolo di governo da parte delle forze che lo compongono, non si tratta soltanto della battaglia contro una destra identitaria, sovranista e reazionaria a cui peraltro non ci siamo mai sottratti. Si tratta di battere un blocco di interessi economici che ha sicuramente il suo perno in Veneto nel centrodestra, ma che ha condizionato e condiziona i governi nazionali di qualsiasi colore. I mantra della centralità dell’impresa e del mercato come regolatore ultimo e della scarsità delle risorse disponibili sono stati e sono largamente condivisi da larga parte del ceto politico: vale per la Lega, per i 5 stelle come per il Partito democratico.
Nella vulgata reazionaria e liberista, che ha riempito le teste di tante e tanti, il tema della scarsità delle risorse ha colonizzato il pensiero della maggioranza della popolazione. Lo slogan prima i Veneti è alla base della propaganda leghista e la forza del progetto dell’autonomia differenziata sta in questo presupposto fondamentale. L’idea che “non ce n’è per tutti e… quindi… prima i nostri” è un messaggio potente.
È un tema decisivo per più ragioni.
Perché conferma e rafforza le tendenze reazionarie nella società, il rinculo in un comunitarismo escludente, che si sposa perfettamente con la centralità dei territori nella competizione globale. Perché sottende e mira obiettivamente alla rottura del quadro unitario, su cui si regge l’impianto repubblicano, dei diritti sociali, dei sistemi della sanità pubblica, dell’istruzione pubblica, dei contratti nazionali di lavoro.
La finalizzazione delle risorse e la loro concentrazione su un unico obiettivo, il sostegno alle imprese per la battaglia sui mercati, non fa che rafforzare il quadro attuale e riprodurre l’attuale modello e il suo impatto distruttivo dal lato della tutela ambientale e dei bisogni sociali. La sanità pubblica, la cura delle cosiddette eccellenze, in competizione con l’offerta di altre regioni italiane ed europee, non c’entra un fico secco con il mandato costituzionale che garantisce il diritto alla salute. La scuola in funzione di appendice dei processi formativi per le imprese, macchina per produrre forza lavoro qualificata e ideologizzata secondo le necessità delle imprese, ancora meno.
Dai piani delle grandi opere, dal Mose alla Pedemontana, alla Tav, passando per il potenziamento del sistema infrastrutturale funzionale alle attività logistiche e ai flussi turistici, gli assi centrali del modello Veneto sono condivisi e proposti in maniera unitaria dal centrodestra e dal Pd; come è stato condiviso, con l’operato di governi di diverso colore, il percorso legislativo che ha prodotto la devastazione del mercato del lavoro che è sotto gli occhi di tutte/i.
Una condivisione così forte delle logiche della centralità dell’impresa che nel Veneto si è tradotta per il Partito Democratico, in ossequio alla subalternità alle associazioni padronali, nella adesione alla proposta di referendum per l’autonomia di Zaia, al punto di garantirgli una vittoria così larga da permettergli di parlare in rappresentanza di tutte/i i Veneti, di avere consensi che vanno oltre la stessa coalizione che lo sostiene. Un suicidio politico che dice della pochezza di un ceto politico persino incapace di costruire una vera opposizione.
Certo, sui temi della immigrazione e della accoglienza ci sono sensibilità e differenze ma, nei fatti, di non grande sostanza. Gli accordi con le tribù e l’armamento della guardia costiera libiche non sono figlie del centrodestra né di Salvini, ma la feroce conseguenza del “realismo politico” dell’ultimo governo targato Pd.
Una proposta politica coerente con la necessità di dare risposte concrete e radicali ai temi sociali e ambientali nella nostra regione non può quindi che partire da una definizione chiara di una collocazione di alternativa sia al blocco di centrodestra che a un qualsiasi blocco di centrosinistra.
Siamo assolutamente consapevoli che nonostante le contraddizioni che si sono aperte nel modello sociale ed economico del Veneto le mobilitazioni di massa che hanno prodotto, i movimenti che attorno a queste si sono generati non hanno ancora la forza per aprire larghi varchi nel sistema di consenso che sostiene la Lega e i suoi alleati.
Siamo altrettanto convinti che nel quadro delle contraddizioni sistemiche che avanzano, la insostenibilità del modello predatorio di sfruttamento del lavoro e dell’ambiente, su cui si basano le fortune di larga parte dell’imprenditoria veneta, si rivelerà con forza e che a questa possibile rottura bisogna guardare, attraversando questa campagna elettorale come una occasione per allargare lo spazio politico e di visibilità alle lotte che verranno e quelle che sono già in campo o solamente sotto traccia. La radicalità delle contraddizioni del tempo che viviamo rende necessaria la radicalità sul terreno dei contenuti, la indisponibilità a qualsiasi mediazione sul programma e quindi una conseguente collocazione politica netta, di rottura con un ceto politico composto da forze che tanto duramente si contrappongono nel palcoscenico del teatrino della politica politicante e altrettanto sono, nella sostanza, convergenti sulle questioni di fondo, quelle decisive.
Non c’è niente di ideologico in quello che diciamo, né quello che proponiamo è inscritto in un interesse particolare di partito. Siamo pienamente consapevoli delle difficoltà che dobbiamo affrontare, agendo in questa fase, nettamente contro corrente, fuori dagli schemi di una contrapposizione bipolare che viene descritta come tale e come tale vissuta da larghissime maggioranze. Facilmente potremmo accomodarci anche noi dentro questo schema.
Siamo invece più che convinti che dentro questo quadro non è possibile nemmeno scalfire la larga egemonia della destra in molti strati popolari, che può essere contrastata solo con una dura lotta per l’inversione delle politiche economiche e sociali che hanno precarizzato, impoverito, la vita di milioni di cittadine/i, le hanno incattivite, rese sorde alle belle parole e alle chiacchiere. Così come crediamo che la stessa radicalità con cui si presenta su scala globale il movimento contro i cambiamenti climatici non possa incontrarsi con chi ancora propone, stando al governo del paese, la necessità delle grandi opere e ne persegue la realizzazione.
Proponiamo un confronto largo, un percorso dal basso e condiviso con tutte/i coloro che sono convinti della necessità netta di un cambiamento di paradigma.
Con tutte/i coloro che al modello delle grandi opere contrappongono un piano di investimenti per la cura e la messa in sicurezza del territorio.
Con tutte/i coloro che alla selvaggia logica della competizione globale del neomercantilismo contrappongono lo sviluppo della cooperazione internazionale, un sistema economico basato sulla soddisfazione dei bisogni sociali, che abbia come riferimento i diritti di eguaglianza reale sanciti dalla costituzione repubblicana. Che contrapponga alla centralità del mercato e dell’impresa la centralità dell’intervento pubblico.
Mettiamo il pubblico al centro del programma: più investimenti nel sociale, per la sanità pubblica, per la scuola pubblica, per la difesa e la messa in sicurezza del territorio, delle lavoratrici e dei lavoratori, per la riconversione ecologica delle produzioni.
Un programma che chiede investimenti e il coinvolgimento delle comunità locali contro il centralismo regionalizzato neostatalista, che è il vero obiettivo dell’autonomia regionale proposta da Zaia. Un programma che chiede di recuperare risorse attraverso una imposizione fiscale fortemente progressiva e una lotta contro l’evasione fiscale di 10 miliardi di euro in questa regione.
Su questi temi siamo disponibili al più largo confronto, senza alcuna pretesa egemonica, puntando alla creazione di un programma largamente condiviso, della determinazione di liste provinciali e di una candidatura a presidente della regione Veneto che passino attraverso le assemblee nei territori.
3 dicembre 2019
Partito della Rifondazione Comunista
Segreteria Regionale – Veneto
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