Il 25 Aprile 2020, per la prima volta dalla Liberazione, ci ha visti tutt* impediti a manifestare in piazza e costretti in una situazione che ai padroni e alle destre piacerebbe tanto perpetuare. Ognuno a casa sua, da solo, si esce solo per lavorare, magari sorvolati dalle frecce tricolori. Eppure siamo stati capaci di celebrare e ricordare ugualmente, inventando mille modi, coinvolgendo tantissime persone.
Penso allora che valga la pena sottolineare in particolare uno tra i tanti insegnamenti che ci vengono da chi la Resistenza l’ha costruita prima che diventasse un moto di massa e arrivasse poi alla vittoria 75 anni fa.
Dovremmo imparare da coloro che continuarono imperterriti a pensare che ciò che è sbagliato resta sbagliato anche se si è in minoranza, già a partire dal 1922, quando tutto sembrava perduto, e poi attraverso le guerre coloniali e la guerra mondiale, in mezzo ad un popolo che certamente veniva imbrogliato, forse non era contento, ma certo non manifestava una opposizione di massa al regime, e diversamente da chi si ritirava sperando che prima o poi il vento cambiasse da solo, o peggio, contando sulla tenuta di istituzioni e monarchia interamente complici del fascismo.
Dovremmo imparare da coloro che per continuare a dire quella semplice verità rischiavano la libertà, la deportazione, la tortura, la vita, stampando un giornale, distribuendo un volantino, parlando con i colleghi di lavoro gli amici i familiari i vicini, organizzando reti, tessendo politica, riflettendo ed agendo.
Chi come me è abbastanza vecchio da avere potuto parlare con loro, con i Partigiani, e chi avesse voglia di andarsi a vedere le interviste che hanno rilasciato ed a leggersi i libri che hanno scritto, scopre facilmente che nessuno di loro pensava di essere un eroe: non il più noto degli intellettuali o dirigenti politici, né il più umile degli operai o contadini. Sapevano solo che, contro ogni apparente evidenza, le cose potevano cambiare, e col lavoro certosino e paziente – per molti durato più di vent’anni – le hanno cambiate.
Dal loro esempio noi, chiamiamoci sinistra radicale, di alternativa o come diavolo volete, e soprattutto (mi perdonino le/gli altr*) noi Comuniste e Comunisti, che ci troviamo a vivere questa fase storica, dovremmo io penso, anziché piangere su ciò che abbiamo perso (anche per colpa nostra..), su quanto sia difficile spiegare ciò che pensiamo e comunicarlo con i media che fingono di non vederci, su quanto anche la classe sia in questo momento spinta all’acquiescenza e all’inazione, dovremmo imparare che la storia non è mai finita, e che i risultati non dipendono da miracoli, ma dall’analisi, dalla riflessione collettiva, dal lavoro politico che si riesce a mettere in campo, ciascuno per la sua parte, con pazienza. Non servono a nulla uomini della provvidenza, leader maximi, né comete della comunicazione o gente dalla promessa facile e dalla vita politica breve.
Così potremo anche toglierci la soddisfazione di svergognare tutt* coloro che, in particolare nel cosiddetto centro-sinistra, pensano che il mondo presente sia l’unico possibile, e vada governato secondo certe “sue regole”, a cominciare dal profitto, senza nemmeno più uno straccio di ipotesi di “riduzione del danno”.
Il 25 Aprile 1945, tra l’altro, ha fondato ciò che siamo. La Resistenza contro il nazifascismo ci indichi la via per uscire da questa crisi, non solo sanitaria.
Giuseppe Palomba, segretario prov.le PRC Padova
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