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SCHEGGE DI REALTA’ ALL’EPOCA DEL CORONAVIRUS

Il governo spagnolo ha avanzato la proposta di intervenire con 1500 miliardi di euro per far fronte alla tremenda crisi sociale ed economica che la pandemia del coronavirus ha determinato nel continente. 1500 miliardi di titoli emessi dalla banca centrale europea, a durata illimitata, distribuiti agli stati, senza che si crei nuovo debito. Una proposta che mette in campo la Bce con le stesse modalità con cui stanno intervenendo la Fed americana ed altri istituti.
Sostanzialmente è la stessa proposta avanzata dal gruppo del Gue, comunisti e sinistra radicale, nel dibattito al parlamento europeo. Di tutto questo nel dibattito pubblico in Italia non vi è praticamente traccia. La ragione è molto semplice: una scelta come questa rappresenterebbe la rottura netta con tutto l’impianto liberista dell’Unione europea, con le politiche di austerità e il ricatto del debito che ne hanno costituito la base. E’ l’unica proposta che può evitare che si esca da questa crisi massacrati come è accaduto dopo la crisi iniziata nel 2008-2009. Cioè con lo schiacciamento dei redditi di chi lavora da un lato, e con la crescita dei patrimoni e delle ricchezze derivanti dai profitti e dalle rendite dall’altro.
Nelle fabbriche si è ripreso a lavorare. Come dice Zaia, il lockdown non c’è più e quindi: “Avanti tutta, riapriamo tutto!”. Le resistenze degli scienziati, i dubbi di chi è stato ed è in prima linea nella lotta contro il virus sono superati e coperti dalla campagna martellante sulla necessità di riaprire perché l’economia non soccomba. Le sirene della riapertura generale dicono: “Si vada a lavorare in sicurezza, ci saranno i protocolli e perfino le sanzioni per chi non si adegua”. Sono chiacchiere prive di senso.
Anche ieri è cresciuto il numero dei nuovi contagi e dei morti, e le prospettive non sono rassicuranti. Nel nostro paese, la gran parte delle aziende che avevano subito controlli di sicurezza nel passato sono risultate inadempienti. I controlli sono stati ovviamente un numero risibile. Se qualcuno dice, o fa credere, che fuori dalle aziende con una qualche presenza sindacale, sia possibile imporre il rispetto delle norme e delle tutele necessarie a mettere in piena sicurezza le lavoratrici e i lavoratori, racconta una balla clamorosa. Questo al netto della disponibilità dei dispositivi di protezione individuali e dei controlli sanitari.
L’azzardo è altissimo. Non si tratta soltanto della salute delle lavoratrici e dei lavoratori – che già basta e avanza – ma di tutte e di tutti. Il virus è tuttora in campo. Sarà duro tirare la cinghia, ma è di sicuro molto peggio tirare le cuoia.
Soltanto in un quadro di garanzia di livelli di massima sicurezza è possibile una ripresa programmata e non suicida delle attività produttive e dei servizi non essenziali. Queste condizioni adesso sicuramente non ci sono. Circolano foto di autobus affollati da persone che si devono recare al lavoro, e d’altro canto si continuano a multare piccole “trasgressioni” alle regole del distanziamento sociale e si militarizza il territorio con droni ed elicotteri che sorvolano le città. A Padova, i quotidiani locali riportano le denunce dei lavoratori del trasporto pubblico e di cittadine/i che protestano per la mancanza di sicurezza dovuta al sovraffollamento dei mezzi. Una responsabilità grave che coinvolge Bus Italia ma anche l’amministrazione comunale, provvida di dichiarazioni, ma incapace di affrontare una situazione che costituisce una minaccia per la salute di tutte/i. Le dichiarazioni del vicesindaco Lorenzoni, sulle difficoltà finanziarie nel far fronte alla situazione si commentano da sole.
Si cominciano a vedere le conseguenze sociali di questa crisi. Dopo i canti sui balconi, la retorica del tutto andrà bene, la realtà mostra tutt’altro segno. Sono i numeri dei posti di lavoro già persi, le domande di sospensione dei mutui, le richieste per accedere ai buoni-spesa dei comuni, le domande di attivazione della cassa integrazione, a dirci quali siano le dimensioni della crisi. Certamente più grave della crisi finanziaria del 2008, e della portata e durata della crisi del 1929. Ma questo ovviamente dipenderà molto dalle scelte che faranno gli stati. Nel Veneto, vista la grande rilevanza del turismo, della meccanica, del settore moda, questa è una crisi che avrà effetti devastanti sull’occupazione e sul reddito di una fetta larghissima della popolazione. Prima del coronavirus, secondo i dati dell’ufficio statistico della Regione, il 20% dei residenti nel Veneto erano vicini o sotto la soglia di povertà relativa. È facile immaginare che questa percentuale sarà superata abbondantemente, in proporzione allo spessore degli interventi economici e fiscali dell’Europa, degli stati e delle regioni. Il cuore della battaglia è in Europa. L’unica proposta sensata è quella del governo spagnolo, ma non sono trascurabili nemmeno le scelte che si fanno agli altri livelli.
Ieri, in regione Veneto, si è discusso dell’assestamento di bilancio: dodici milioni di euro di avanzo da destinare alle varie poste. La cifra è ridicola rispetto alle necessità, e non vale nemmeno la pena di discutere della sua allocazione sulle diverse partite di spesa. E’ invece illuminante il dibattito all’interno del consiglio regionale, al quale Zaia non ha nemmeno partecipato, impegnato come ogni giorno nell’autoincensamento quotidiano su tutti i media. Una battaglia a dir poco epocale. Dalla discussione di un premio per i medici , alla durata della sospensione del pagamento del bollo auto. Come dire, una discussione e un profilo programmatico di interventi nella crisi all’altezza dei problemi. Un altro straordinario esempio della inadeguatezza di un ceto politico del tutto inconsapevole della dimensione sistemica della crisi che stiamo affrontando.
Paolo Benvegnù (segretario regionale di Rifondazione Comunista)

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