Congresso, In Evidenza

Il CPN di Rifondazione su redistribuzione della ricchezza e rilancio del pubblico

l Comitato politico nazionale – riunitosi il 21 e 22 novembre – ha approvato la proposta di allargamento della segreteria nazionale. Entrano a far parte della segreteria nazionale le/i compagne/i Loredana Fraleone, Stefano Galieni, Tonia Guerra, Elena Mazzoni, Dimitri Palagi, Antonello Patta. Della segreteria – ricordiamo – facevano già parte con il segretario nazionale Maurizio Acerbo, il tesoriere Vito Meloni e la compagna Rosa Rinaldi. 

Il Comitato politico nazionale ha deciso anche il rinvio del congresso. Il documento approvato:

Contro la guerra tra “poveri”, redistribuire la ricchezza

Indispensabile una risposta di sinistra alla pandemia e alla crisi sociale

La seconda ondata della pandemia ha evidenziato gli errori e l’inadeguatezza dell’azione del governo Conte e ancor di più il carattere demagogico e irresponsabile delle campagne delle destre. Abbiamo assistito a una sostanziale incapacità di pianificare e programmare di governo e Regioni. Emblematici il mancato potenziamento del trasporto pubblico e la mancata predisposizione di USCA, posti letto, tracciamento, vaccinazione antinfluenzale e persino di un software e un formulario nazionale per la raccolta dei dati. La gestione della pandemia con parziali chiusure esplicita che governo e opposizione di destra convergono nella logica di subordinare l’efficacia sanitaria delle misure alla logica del non danneggiare l’economia, cioè del profitto capitalistico, non interrompendo le attività produttive e imprenditoriali. Una logica miope che ha già prodotto la nuova impennata del contagio della pandemia e la nuova emergenza dopo la scelta di allentare tutte le misure durante i mesi estivi. Non è un caso che si continui a rimuovere nel dibattito pubblico il fatto che il virus si diffonde anche e forse principalmente in ambiente lavorativo e sui mezzi di trasporto utilizzati per recarvisi e da lì poi arriva e si trasmette in ambiente familiare. Eppure non sono state attivate rigide misure di vigilanza e di sorveglianza sanitaria per verificare che nei luoghi di lavoro siano rispettate le norme di precauzione, limitandosi a mandare alle aziende dei questionari a cui rispondono le stesse imprese. Nulla è stato fatto per potenziare i servizi di medicina del lavoro delle ASL /Ats e aumentare il numero delle ispezioni. E nulla si è fatto per potenziare i servizi del trasporto pubblico. Una latitanza istituzionale che coinvolge le Regioni e il governo. Il ministro Speranza si è ben guardato dall’inviare ispettori centrali a verificare la situazione negli ambienti di lavoro più a rischio. Questa logica del primato dell’economia sulla tutela della salute ha trovato ascolto e consenso popolare soprattutto a causa dell’insufficienza del sostegno economico ai settori sociali colpiti dalla crisi. La crisi rischia di tradursi in guerra tra “poveri”, tra settori diversi del mondo del lavoro e delle classi popolari. E’ evidente il tentativo di indirizzare il malcontento di lavoro autonomo, partite IVA, lavoratori del settore privato, precari, disoccupati contro il lavoro pubblico, come ieri sono stati usati come capri espiatori il sud, gli immigrati, i presunti privilegi dei lavoratori anziani. La pandemia ha avuto un impatto assai pesante anche in conseguenza delle politiche neoliberiste di smantellamento dello stato sociale e dell’intervento pubblico nell’economia. Non vi sarà una risposta adeguata alla crisi sanitaria e sociale senza rilancio del ruolo del settore pubblico, a partire di un piano massiccio di assunzioni in particolare nella sanità e dalla reinternalizzazione dei servizi. Compito delle comuniste e dei comunisti è invece quello di favorire l’unità e la solidarietà delle classi lavoratrici e popolari, prospettare una risposta di sinistra alla crisi e alla pandemia fondata sulla redistribuzione della ricchezza e una svolta nelle politiche economiche e sociali. Difronte a dati drammatici – i nuovi poveri sarebbero già 450 mila in più dei 4,7milioni del 2019, 470 mila precari e partite Iva hanno perso il lavoro secondo l’Istat nel secondo trimestre – risulta intollerabile che governo e opposizione di destra rifiutino di introdurre una tassa patrimoniale sulle grandi ricchezze e un aumento delle aliquote sui redditi alti o che non venga introdotto un reddito garantito per tutte/i. Questa situazione è resa più grave dalla subalternità del governo alle richieste di assistenzialismo senza garanzie occupazionali solo per milionari e imprese di cui si fa portatrice Confindustria e dall’incapacità di utilizzare il complesso del denaro stanziato dall’Unione Europea. Circa metà dell’ammontare complessivo non andrebbe a coprire nuovi investimenti ma semplicemente la ricontrattazione dei debiti precedentemente contratti. E’ invece necessario che non solo tutti i soldi stanziati dall’Unione Europea –ovviamente senza prendere in considerazione la trappola del MES siano utilizzati per mettere in sicurezza il popolo italiano sul piano sanitario e sociale e fare una grande riconversione ambientale dell’economia. Alla logica del profitto al primo posto contrapponiamo il primato del diritto alla salute sancito dalla Costituzione: l’interruzione di tutte le attività non essenziali – il cosiddetto “lockdown” – è misura che va assunta se vi sono necessità di contenimento del contagio. Alla guerra tra “poveri” contrapponiamo la redistribuzione della ricchezza per garantire reddito per tutte/i.

Il CPN impegna il partito nello sviluppo – pur nei limiti determinati dall’emergenza covid – dell’iniziativa politica e sociale sulla nostra piattaforma sociale, nelle pratiche sociali e a lavorare in tutte le campagne unitarie con le associazioni, i movimenti e le altre soggettività politiche e nelle mobilitazioni sindacali e sociali. Il CPN dà mandato alla segreteria e alla direzione di predisporre un piano di lavoro coinvolgendo tutti i livelli organizzativi e le sensibilità del partito.

IL NOSTRO CONGRESSO

L’aumento dei contagi e le norme emanate per il contenimento della pandemia con relative restrizioni rendono impossibile l’inizio dello svolgimento del X congresso del partito entro l’anno in corso. Risulta evidente che in questa situazione bisognerebbe tenere il congresso a tutti i livelli con modalità obbligatoriamente ed esclusivamente on line. Ritenendo che sia fondamentale garantire, dai livelli di circolo all’assise nazionale, la possibilità della partecipazione diretta in presenza il CPN approva la proposta della Direzione nazionale dell’8 novembre scorso di rinviare il congresso al 2021 e di tenerlo non appena vi saranno le condizioni che rendano possibile lo svolgimento. Le commissioni congressuali già insediate proseguono il loro lavoro. Nei prossimi mesi vanno coinvolti con tutti gli strumenti disponibili le compagne e i compagni del partito nel processo di elaborazione politica sui temi al centro del congresso, attivando anche interlocuzioni con le realtà sociali, politiche e culturali della sinistra e dei movimenti. L’allungamento del percorso consentirà di svolgere in un anno pieno di anniversari fondamentali per la storia delle comuniste e dei comunisti (150° della Comune di Parigi, centenario della nascita del Partito comunista d’Italia, trentennale della nascita del Prc, ventennale del G8 di Genova) una serie di iniziative di approfondimento che aiuteranno la nostra riflessione strategica e anche l’interlocuzione esterna. A tal fine il CPN dà mandato alla Direzione di costituire un gruppo di lavoro unitario su proposta della segreteria e del dipartimento cultura e formazione.

PER IL RILANCIO DEL PUBBLICO

La pandemia ha rivelato, col suo carico di sofferenze e lutti, oltre al fallimento del mercato, gli effetti devastanti dell’arretramento del pubblico sulla vita delle persone e sul sistema paese.
Se si è evitato un disastro peggiore lo si deve a ciò che di pubblico è rimasto e alle/ai sue/suoi lavoratrici e lavoratori, che con il loro impegno hanno sopperito alle grandi carenze in termini di strutture e di personale prodotte da trent’anni di politiche neoliberiste e/o di austerità e ai giganteschi tagli giustificati con i vincoli europei e il peso del debito. La devastazione del pubblico risulta evidente alla luce di alcuni dati.
-scuola e università 66 mld di spesa pubblica contro i 120 della Francia e i 134 della Germania;
-sanità 150 miliardi contro i 250 della Francia e i 350 della Germania Germania
-in Italia 80 dipendenti pubblici per mille abitanti contro una media europea di 118, i 135 della Germania e i 170 della Svezia.
La pandemia ha vieppiù evidenziato il disastro prodotto dalle gravi lesioni inferte al ruolo e all’importanza del settore pubblico nella sfera dell’insieme della riproduzione sociale: si è “scoperto” che cosa ha significato l’aver gravemente ridotto l’organico del personale medico e infermieristico e l’aver distrutto il sistema di prevenzione e medicina territoriale, o l’aver mantenuto la Scuola in stato di precariato, con patrimonio edilizio vecchio e insufficiente, classi sovraffollate, o ancora le grandi carenze del welfare con insufficienti interventi di sostegno al reddito e la mancanza di ammortizzatori sociali universali.
Quello visibile oggi è un disastro che viene da lontano : anni di riduzione degli organici, di delegittimazione del lavoro pubblico, di svalorizzazione del suo ruolo sociale conseguenze della mercificazione di tutto ciò che era pubblico e comune; della privatizzazione di interi settori e servizi, accompagnata dalla progressiva aziendalizzazione del servizio pubblico. Si è trattato di processi su larga scala attraverso i quali il capitalismo ha perseguito il sostanziale smantellamento del settore pubblico, in nome della espropriazione e messa a valore di ogni attività umana. Così i bisogni si sono trasformati in merci, mentre l’intero settore è stato sottomesso a rapporti gerarchici di comando di tipo aziendale, incentivando al massimo la competitività fra lavoratori, con la predominanza di misuratori di tipo aziendalistico con scarse o nessuna considerazione per la qualità del lavoro e dei servizi
Il progressivo disimpegno dello Stato in termini di disinvestimento e di rinuncia alla gestione diretta dei servizi (a partire dai principali settori, quali sanità, istruzione, assistenza, ma non solo) ha contribuito ad amplificare le differenze di classe e le disuguaglianze prodotte dalle politiche degli ultimi 30 anni, aumentando il numero di persone a rischio di povertà (economica e culturale), generando categorie di cittadinanza differenziate, diseguali, ingiuste e tendenzialmente disgregatrici dell’intero contesto sociale.
Pesantissime le conseguenze su lavoratrici e lavoratori pubblici che hanno sofferto la riduzione progressiva degli stipendi causato dal blocco della contrattazione e il peggioramento delle condizioni normative e dall’introduzione di forme di precarietà del lavoro prima inesistenti. Il risultato è che oggi ci troviamo di fronte a un personale invecchiato, malpagato, insufficiente, sfiduciato.
Tutto ciò ha platealmente smentito le promesse del neo-liberismo, che prospettavano maggior efficacia, maggior efficienza e maggior qualità dei servizi, raggiungibili grazie all’introduzione dei meccanismi connessi all’aziendalizzazione e alla concorrenza fra pubblico e privato.
Anzi! La realtà odierna mostra ben altro: maggiori costi per gli utenti, minor qualità dei servizi erogati, grandi diseguaglianze nell’accesso. Per tacere dei “danni collaterali” rappresentati, ad esempio, dalla corruzione che si è sviluppata grazie alle commistioni pubblico-privato e al sempre più esteso sistema degli appalti e subappalti, oppure dai costi in termini di maggior precarietà per i lavoratori e le lavoratrici, a seguito dei processi di esternalizzazione.
Va inoltre sottolineato che uno Stato Sociale indebolito e residuale, quindi con una sempre più ridotta azione di redistribuzione della ricchezza, favorisce una cittadinanza diseguale equesta, intersecandosi con l’asimmetrica divisione del lavoro riproduttivo, determina una condizione di illibertà, costrizione, repressione e violenza in particolare per le donne; sotto questo aspetto, ragionare di lavoro pubblico, con il corollario di estensione dei servizi alla persona, di risorse per le politiche di assistenza e di promozione sociale, deve avere ben presente che bisogni e necessità non si declinano in modo neutro e paritario e che i compiti devono essere almeno equamente distribuiti fra i generi in termini di tempi e carichi di lavoro. Ma quando si affronta il tema della cittadinanza è fondamentale assumere il principio che il riconoscere la differenza delle donne e la sua piena declinazione nella sfera dei diritti apre la porta a una nozione di cittadinanza progressivamente capace di assumere tutte le differenze che si articolano nella società umana.
Non meno rilevanti sono stati gli effetti negativi della ritirata del pubblico sull’insieme dell’economia prodotti dalle scelte che hanno impoverito tutti i settori quanto a strutture e dotazioni tecnologiche, ridotto gli organici, impedito il ricambio generazionale, la formazione e l’innovazione.
Basti pensare agli effetti economici di lungo periodo dei bassi livelli di scolarizzazione o dell’arretramento della ricerca o ai costi umani ed economici della mancata prevenzione sanitaria ed ambientale; o ancora alle amministrazioni pubbliche rese incapaci di progettare e spendere i fondi disponibili per la drammatica perdita di competenze provocate da tagli e esternalizzazioni; ai costi giganteschi provocati dall’abbandono della manutenzione del patrimonio pubblico e del territorio; ai costi economici dei ritardi e delle disfunzioni della giustizia per le carenze di organici, di mezzi e dotazioni tecnologiche.
Che fare?
Alla luce di quanto detto, diventa chiara a molti la necessità di una maggiore presenza del pubblico nella società , ma questo non basta; per noi è fondamentale definire una diversa idea di Pubblico, che corrisponda al nostro più generale modello alternativo di Società ed esprima una nozione più avanzata di riproduzione sociale, non funzionale alle esigenze del profitto, ma al benessere di tutta la popolazione, all’allargamento della sfera dei diritti, alla tutela dei beni comuni.
Un pubblico nuovo, sottratto ai vizi su cui aveva fatto leva l’attacco neoliberista, un pubblico accogliente, in cui la ripresa di protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori si sposi con la partecipazione dei cittadini, in cui l’allargamento della democrazia nella gestione si intrecci con il miglioramento della qualità dei servizi.
Una tale trasformazione può avvenire solo all’interno di una battaglia politica e culturale all’insegna della demercificazione dei bisogni per ricondurne il soddisfacimento nella sfera del diritto, per il valore universale dei diritti contro le disuguaglianze.
E’ una lotta che riguarda tutte le componenti sociali, ma che può trovare gambe in modo particolare tra i lavoratori pubblici che rappresentano una quota consistente degli occupati.
Lavoro Pubblico, nel nostro Paese, vuol dire ancora, nonostante i tagli e riduzioni d’organico (165.000 unità in meno dal 2009 ad oggi), 3.200.000 lavoratori e lavoratrici fra Scuola, Sanità, Enti Locali, Ministeri ed altri Enti e servizi. Questi lavoratori e lavoratrici sono per noi un riferimento fondamentale per una proposta di rilancio del pubblico in quanto vivono doppiamente, sia come cittadin* che come lavoratrici e lavoratori, tutte le contraddizioni indotte dall’ attacco neoliberista a tutto ciò che è pubblico; perfino in questo momento subiscono ancora attacchi ai loro “privilegi” alle loro tutele e al contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Qualificare, estendere, retribuire adeguatamente il Lavoro Pubblico significa difendere e rafforzare lo Stato Sociale, di cui il Lavoro Pubblico rappresenta la realizzazione concreta; significa corrispondere a bisogni sociali crescenti, i quali, se non ricevono adeguata risposta pubblica, finiscono irrimediabilmente per essere esposti all’intervento del Privato, che li vede esclusivamente come terreno di ricerca del profitto (specie in fase di difficoltà di remunerazione del capitale) e inevitabilmente li distorce in un’ottica di accentuata diseguaglianza.
Facciamo in particolare nostro lo slogan: “Prendersi cura delle persone che curano”, con lo scopo di “riabilitare” insieme il ruolo sociale del lavoro pubblico e l’idea di pubblico in quanto tale.
Una proposta di sviluppo e di riqualificazione comporta necessariamente un grande investimento in risorse economiche e umane, esteso all’insieme dell’amministrazione pubblica e ai suoi fabbisogni, a partire dai settori maggiormente in sofferenza. Chiediamo che i fondi di next generation siano innanzitutto utilizzati per un grande piano di potenziamento delle strutture, delle dotazioni e del personale dei settori pubblici.
Proponiamo all’interno di un più generale Piano Nazionale per il Lavoro, un piano di assunzioni stabili nella P.A., adeguato alle necessità reali della popolazione (identificando quindi bisogni fondamentali e servizi corrispondenti), abbandonando i criteri di mero “risparmio economico” che hanno dominato in questi anni; che siano attribuiti a lavoratrici e lavoratori pubblici (a fronte di un blocco salariale decennale) consistenti aumenti salariali; che siano riconosciute, valorizzate e promosse le competenze; siano reinternalizzati i servizi che in questi anni sono stati conferiti all’esterno, con l’obbiettivo di ricondurre tutti i servizi pubblici al perimetro pubblico, con piena parità di trattamento contrattuale dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolti.
Le risorse necessarie dovranno essere reperite attraverso una diversa politica fiscale, fortemente progressiva ed orientata a far pagare il dovuto alle grandi ricchezze, introducendo una tassa patrimoniale sui redditi superiori a 1 mln €, colpendo col necessario impegno l’evasione fiscale.
Nell’organizzazione dei servizi, dovrà essere conquistato il potere di intervento e di contrattazione dei lavoratori e delle lavoratrici, superando i blocchi che gerarchia e burocrazia frappongono all’autonomia e auto-organizzazione degli operatori. Così come occorrerà lavorare per costruire forme efficaci di partecipazione della cittadinanza al funzionamento della cosa pubblica.
A fronte della campagna di denigrazione svolta negli anni scorsi verso i/le dipendenti pubblici/che, ribadiamo che non esiste alcuna contraddizione di principio fra lavoratori/lavoratrici del servizio pubblico e cittadini/cittadine, stante il loro interesse comune al buon funzionamento del servizio pubblico, sia che esso si occupi di lavoro di cura (Scuola, Sanità, Welfare dei Comuni), sia che si occupi di “benessere generale” (cantonieri, addetti al piano regolatore, ecc.).
Sono questi gli assi generali su cui poter poi articolare, calandosi nella notevole complessità della nostra Pubblica Amministrazione, tutta una serie di obbiettivi più specifici e dettagliati quali:
-Assunzione di 500 mila lavoratrici e lavoratori stabili e consistenti aumenti salariali in tutti i settori della pubblica amministrazione per avvicinare l’Italia agli standard europei.
-Reinternalizzazione dei servizi esternalizzati e ritorno nel Pubblico dei servizi dati in appalto con riassorbimento del Personale coinvolto, nell’ottica di garantire la piena parità di trattamento di tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici che concorrono all’erogazione del servizio pubblico.
-Cancellazione di tutte le forme di precarietà e ripristino del contratto a tempo pieno e indeterminato come norma in tutti i comparti della P.A
-Rigetto dei tentativi di rendere strutturale la “didattica a distanza” con la sua assimilazione allo smartworking e al tele-lavoro.
-Eliminazionenella P. A. di tutti gli ostacolioccupazionali, professionali e salariali alla piena parità di genere
-Partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici all’organizzazione di uffici e servizi, prevedendo forme certe di partecipazione degli utenti.
Infine essendo assolutamente prioritario sostenere il valore universale del servizio pubblico, non possiamo che ribadire la nostra ferma opposizione verso le varie ipotesi di “autonomia regionale differenziata”;anchela tragica esperienza della pandemia, con i conflitti di attribuzione che sono sorti fra le diverse articolazioni dello Stato, ha evidenziato la necessità di rivedere profondamente la riforma del Titolo V introdotta negli anni scorsi, così come le varie “riforme” introdotte in diversi settori della P.A. (Province, ecc.), tutte tendenti alla riduzione del servizio pubblico. Ribadiamo inoltre l’estrema pericolosità dell’introduzione di forme di “welfare aziendale”, particolarmente perniciose laddove si parla di lavoro pubblico.

Dipartimento nazionale lavoro del Prc

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