In assenza del Raja Zaia, ieri il direttore generale della sanità veneta da lui nominato, nella quotidiana propaganda a reti unificate ha respinto ogni “illazione” sulla sofferenza del sistema sanitario regionale, ha messo in dubbio la conta dei positivi, ha detto che i posti in terapia intensiva da sempre millantati esistono davvero.
Il fatto che in quel momento il Veneto fosse leader della triste classifica dei decessi per covid, con 191 morti (quasi un terzo del totale in Italia) era per lui, ovviamente, un elemento trascurabile.
Ma intanto a Padova, a sua volta in testa nella classifica regionale dei contagi, cosa accade?
Mentre ci risultano vengano bloccate le sale operatorie dell’ospedale Sant’Antonio (e non è chiaro se e quali prestazioni operatorie di emergenza saranno garantite), anche col personale sottratto a quelle sale vengono attrezzati “nuovi” reparti covid in azienda ospedaliera, utilizzando altre sale operatorie (almeno 3 o 4) a loro volta sottratte alle normali funzioni.
Ma il personale (infermieristico ed oss, non che invece i medici siano in sovrabbondanza…) addetto a quelle sale era già stato ridotto per destinare una parte consistente delle scarse risorse umane disponibili ai reparti di emergenza. La pianta organica della sanità pubblica era largamente insufficiente già prima della pandemia: l’avevamo denunciato a partire da molto tempo fa e con più forza, di fronte all’evidenza dei fatti, durante e dopo la prima ondata. Quel personale viene dunque rimpiazzato, comunque in misura assai ridotta, con elementi a loro volta provenienti da altri reparti.
Il risultato netto è che lavoratrici e lavoratori “nuovi” del reparto e senza esperienza specifica di terapia intensiva dovranno imparare, mentre cercano di salvare vite, anche dove sono le cose che gli servono.
Il tutto essendo in numero nettamente inferiore alle esigenze minime: ci risulta che in almeno uno di questi “reparti covid” ci siano in tutto 3 infermier* per coprire 3 turni al giorno: dunque nessun riposo e nessuna riserva. Nel caso, ad esempio, anche un* solo di loro si ammali, ipotesi tutt’altro che remota, per un turno i malati resterebbero senza assistenza…
Tutto questo non può essere attribuito alla fatalità: oltre ad avere voluto lo smantellamento della sanità pubblica, che già denunciavamo in epoca ampiamente precedente alla pandemia, Zaia e la sua amministrazione sono anche responsabili (certo, con la complicità del governo centrale ma anche, nel loro piccolo, delle amministrazioni locali e di una opposizione istituzionale che non ha mai fatto il suo mestiere) di avere sprecato l’intero intervallo intercorso tra prima e seconda ondata senza fare alcunché per rimediare alle carenze strutturali e di personale, di avere affrontato la seconda ondata senza prendere alcun provvedimento serio di limitazione del contagio, di avere mantenuto il Veneto in zona gialla anche sulla base di presunte superiori risorse sanitarie che in tutta evidenza non ci sono, di essersi preoccupati solo di disturbare il meno possibile gli affari.
Zaia porta su di sé la responsabilità, almeno morale e politica, dei morti che il Veneto lamenta in questi giorni in misura largamente superiore ad altre regioni, e che è prevedibile continuerà a lamentare nei prossimi, nonché di quelli che la sospensione di fatto della normale attività di prevenzione e cura sta già provocando e provocherà. E sono tanti.
Se fosse una persona seria si dimetterebbe.
Giuseppe Palomba, segretario provinciale del PRC di Padova
Comments Closed