Quello che proverò a fare è dare un po’ un’idea di massima, per frammenti e spunti, di questo lavoro collettivo di ricerca che da alcuni anni stiamo portando avanti. È un gruppo di ricerca che si è in qualche modo composto un paio di anni fa all’interno di una summer school a Berlino sulla logistica, si chiamava “Investigating Logistics”, ma sicuramente la sua origine, il suo spunto, la sua storia, (che) in qualche modo ci ha portato confrontarci assieme su questo tema va legata a quell’importante laboratorio di conflitto, di scontro sociale, che sono state le lotte nella logistica negli ultimi anni, nell’ultimo decennio ormai, in nord Italia, nella “megalopoli padana”, come ci piace nominarla. Un settore nel quale si è in qualche modo radicata una forma di autorganizzazione operaia all’interno – come veniva detto anche prima- principalmente del sindacalismo di base , (che) negli anni ci ha visto partecipare, come compagni e compagne prima che come ricercatori o ricercatrici, in lotte che vanno da quelle su Ikea o TNT a Piacenza, a quelle agli Interporti di Padova e Bologna, alla Granarolo Bologna e a tutta la Romagna. È un settore che continua ad essere fonte di insubordinazione. Proprio questa mattina, per farvi un esempio, a Bologna c’è stato uno sciopero della ditta Logista, che è la ditta che si occupa del trasportare i pacchetti di sigarette all’interno delle varie tabaccherie della città; questa azienda sta spostando il lavoro da un’altra parte, c’è stato questo sciopero all’Interporto che è stato violentemente caricato dalla polizia, quindi si è realizzato questo fenomeno interessante che dà un po’ il polso di come siano sedimentati certi passaggi, che da tante altre aziende sono riusciti a uscire i lavoratori proponendo il blocco interno dell’Interporto. È un momento veramente duro quello che si sta vivendo all’interno del settore della logistica, che come saprete è in larghissima parte composto da forza lavoro migrante quindi chiaramente dentro il nuovo scenario che si è aperto con l’attuale Governo probabilmente uno dei primi settori che sarà o è già sotto attacco ma al contempo è anche uno di quei settori in cui la forza lavoro migrante può anche dare battaglia e andare all’attacco. Se la partecipazione a questo processo di lotta-organizzazione è quello che ci ha fatto parlare per la prima volta di logistica, e quindi appunto ha destato interesse di tipo accademico, in modo molto concreto abbiamo iniziato ad allargare il quadro per comprendere anche un po’ meglio il fenomeno al quale stavamo partecipando, che stavamo analizzando, ed una delle prime cose che ci aveva colpito è il fatto che ci eravamo resi conto in breve tempo di come in realtà non si trattasse di un fenomeno localizzato, di un fenomeno che si stava sviluppando solo nel quadrante nord italiano, ma in realtà negli ultimi dieci anni, o qualcosa in più, il settore logistico a livello globale sia stato potentemente attraversato da fenomeni di scioperi senza nessun tipo di collegamento, di struttura organizzativa alle spalle, scioperi per lo più spontanei o di tipo “selvaggio”: dall’interporto di Los Angeles, uno dei più grandi porti al mondo, dove transitano ogni ora miliardi e miliardi di valore di merci che vanno da ? all’Australia, al nord Europa ecc ecc. Quindi uno di primi elementi che credo sia importante segnalare, alcune caratteristiche comuni, che venivano ben descritte anche nell’intervento introduttivo, di settore ad alcune di queste caratteristiche corrisponda in qualche modo un tipo di lotte, di produzione di soggettività, che, a partire dalla forte parzializzazione di questa forza lavoro determina forme di sciopero, di organizzazione, di rottura che attraverso il confine si muovono lungo le filiere logistiche, pur in assenza (che evidentemente non è un bene) di forme organizzative che strutturino questo tipo di lotte. Un secondo elemento, sul quale abbiamo riflettuto e stiamo riflettendo, è come in qualche modo la logistica sia anche un tipo di punto di vista, sia uno sguardo, sia una lente che può essere utilizzata per indagare anche molti altri fenomeni, al di là di quella che è la logistica in senso stretto come settore per la movimentazione delle merci. Giusto per farvi un esempio, oggi che i processi della cosiddetta globalizzazione sembrano essere in una fase di crisi, pensando a vari fenomeni dal protezionismo trumpiano alla Brexit, guardare al mondo attraverso la logistica, quindi a come si connettono forze lavoro eterogenee e si spostano le merci, può essere un modo per proporre un punto di vista alternativo su cosa può essere oggi la costituzione materiale dei processi di globalizzazione. Per usare questo senso ampio della logistica, siamo ripartiti dai fondamenti quindi andando un po’ a riguardare marxianamente quel confine, come quella divisione fra produzione circolazione e consumo, si andava a ripresentare oggi, perché in quello che vedevamo era difficile pensare al lavoro nella circolazione come un ambito “non produttivo”, e uno dei percorsi che abbiamo sviluppato è di tipo sostanzialmente storico: abbiamo guardato un po’ più nel profondo quella che da molti viene definita come “rivoluzione logistica”. Per “rivoluzione logistica” si intende sostanzialmente quanto avvenuto negli anni cinquanta e sessanta, e da lì in poi, quando grazie soprattutto a innovazioni di tipo tecnico (penso al container, che è un po’ l’emblema della logistica) si sarebbe compiuta questa logistics revolution che ha trasformato in maniera radicale i processi produttivi. Quello che abbiamo provato a fare invece è mettere un po’ a critica questo tipo di narrazione e a rovesciare il discorso. Quindi abbiamo cominciato a parlare più che di rivoluzione logistica di contro-rivoluzione logistica: intendendo cosa? Che in realtà quello che si è evoluto in quegli anni, se non lo guardiamo da un punto di vista dell’innovazione tecnologica ma lo guardiamo da un punto di vista del conflitto lavoro-capitale, può essere l’elemento della logistica quindi della distribuzione, della connessione tra differenti branche del processo produttivo, la rivoluzione logistica del capitale dovrebbe essere più che altro una contro-rivoluzione logistica nel senso che è andata a smantellare questa possibilità di smembrare la fabbrica fordista in più pezzi produttivi, nel senso che è stato uno (insieme ad altri, ovviamente) dei fattori, dei vettori, che più ha contribuito a destrutturare l’accumulo di potere che si era dato nella grande fabbrica fordista. Da questo punto di vista, quindi, possiamo dire che la circolazione oggi produce valore perché quello che si è realizzato in quel contesto è stato che mentre prima la circolazione era, diciamo, un ambito mercantile, da lì in poi progressivamente la logistica è diventata un ambito sempre più industrializzato fino a oggi, che è appunto, cosa che abbiamo detto anche nell’intervento precedente, è proprio di fatto un ambito tout-court industriale. Ultima cosa, per chiudere questa ampia introduzione, la logistica – come avrete intuito da questi primi spunti che ho messo magari in maniera un po’ rapsodica ma anche perché siamo in tanti a portare avanti questa ricerca e quindi cerco anche di dare un quadro abbastanza ampio – si propone un po’ come arma che ha la possibilità di essere usata per indagare i differenti nodi a livello storico, a livello di trasformazioni spaziali o di trasformazioni della produzione. Abbiamo provato a fare un primo tentativo di sintesi di tutti questi discorsi, mettendoli in una sorta di manifesto di critica logistica, (lo abbiamo chiamato così, forse un po’ pomposamente) in un numero che uscirà nei prossimi giorni di una rivista militante che si chiama Zapruder (per chi fosse interessato è una rivista proprio sulla logistica) che si chiama “Block the Box”.
Sono passato così al discorso che volevo fare oggi per darvi il panorama di quello che invece in anni più recenti le nostre ricerche, che come avrete capito si muovono su questo terreno tra ricerca accademica e militanza politica, per introdurre un po’ questo discorso che stiamo facendo negli ultimi anni volevo partire da un libro, che è uscito di recente negli Statu Uniti, di Kim Moody, che si chiama “On new terrain” (sul nuovo terreno). La tesi che porta avanti questo Moody, in questo libro si parla molto in realtà di logistica, è che sostanzialmente la fase che stiamo attraversando in questo periodo sia quella di una transizione verso un nuovo terreno di classe – appunto, new terrain – in cui, nonostante tutta quella serie di processi più o meno indagati che vanno da precarizzazione, subappalti, invisibilizzazione del lavoro, intensificazione del lavoro ecc ecc, ecco, nonostante ci sia un oggettivo aggiro della lotta di classe dall’alto in questo momento, il nuovo terreno, il nuovo scenario che si sta costruendo, in realtà ha delle potenzialità più significative rispetto a cicli precedenti di costruzione di contropotere da parte del lavoro. Questo nuovo terreno di lotta di classe ha, appunto, nella logistica un asse critico: tanto la logistica è capace di connettere, di estrarre valore, tanto nella sua necessità di flussi continui il potere di interruzione, il potere strategico che riveste il lavoratore logistico all’interno della catena, apre invece ad altre possibilità, giusto per fare un esempio. E questo si capisce bene, e qui arrivo a descrivere gli ultimi passaggi di scioperi o di ricerche che stiamo facendo. Ci sono tre tipologie di lavoro logistico: quello che, tra virgolette, si potrebbe definire come una “logistica classica”, la logistica di Amazon (che è agli onori di cronaca da un po’ ma anche perché ha un rilievo decisamente cruciale) e quelli che sono chiamati “riders”. I fattorini della distribuzione porta a porta che segnano un po’ l’ultima frontiera della distribuzione, nel senso che consegnare merci direttamente a casa è, se volete, un ulteriore passo nel sogno logistico di annullare sostanzialmente il tempo tra produzione e consumo, e aumentare anche la vendita. Chiaramene questo è un altro dato da considerare quando si parla di logistica: il fatto che negli ultimi anni, gli ultimi vent’anni, la logistica sia diventa sempre più importante è anche perché c’è una necessità sempre più forte da parte capitalistica di vendere merci, e chiaramente più si diminuisce il tempo di distribuzione più si possono vendere merci insieme ad altri processi.
Allora, dicevo: logistica tradizionale, Amazon e riders. Guardiamoli soprattutto in quel che è il quadrante norditaliano e nella successione temporale che essi hanno: mentre il settore logistico norditaliano ha uno sviluppo molto forte e accelerato negli ultimi dieci-quindici anni, Amazon ha iniziato a impiantarsi in Italia sei anni fa (se non sbaglio), e invece i riders delle cosiddette piattaforme digitali – penso in primo luogo al cosiddetto “food delivery”, quindi la consegna di cibo: Foodora, Just Eat ecc – hanno un arco di tre o quattro anni. Quindi sono processi successivi e chiaramente non è che il futuro è i riders e la logistica classica d’improvviso scomparirà ma siamo difronte a un intreccio, un’articolazione fra questi piani che può essere interessante andare a guardare. Non dico altro sul piano della “logistica tradizionale”, gli scioperi ci sono stati, un po’ se n’è già parlato, quindi è un fenomeno anche più noto. Amazon è interessante soprattutto perché in questi ultimi sette-otto anni è passata sostanzialmente da essere una compagnia internet (una internet company) che viveva, quantomeno in Europa, di processi un po’ più lunghi, in Europa è passata da esser semplicemente una compagnia internet che inizialmente distribuiva libri, a essere una vera e propria compagnia logistica. Amazon negli ultimi anni si sta territorializzando nel senso che sta costruendo un suo proprio terreno di infrastrutture (di magazzini, di connessioni logistiche) e sta portando in Italia, che è caratterizza storicamente da un settore logistico a basso investimento di tecnologia e con una forza lavoro per lo più migrante, sta invece portando magazzini abbastanza automatizzati. Non siamo ai livelli dei droni e dei circuiti con l’intero magazzino senza bisogno di lavoratori, però sono comunque impianti molto automatizzati e che stanno catturando una forza lavoro vendendosi in qualche modo come la nuova logistica, quant’è bello lavorare per una multinazionale importante come Amazon, la possibilità di fare carriera, ecc ecc, come forse avrete sentito, in realtà le condizioni di lavoro all’interno non sono così eccellenti. C’è stato uno sciopero anche qui su scala europea e internazionale lo scorso fine novembre, non mi ricordo, il cosiddetto “Black Friday” il giorno in cui Amazon fa grandi sconti e quindi aumenta in maniera esponenziale il livello di vendite e quindi anche di necessità di lavoro, quel giorno appunto c’è stato un primo sciopero a Piacenza ma anche in Germania e in Polonia nello stesso giorno c’è stato questo primo tentativo di connettere questo tipo di vertenza. Amazon è interessante anche perché sta adottando una serie di tecnologie che non sono cambi, diciamo così, di lavoro all’interno del magazzino su livelli medio-bassi di lavoro ma anche sta applicando sempre più tecnologie per controllare le Performance Management. Quindi è un complessivo dispositivo di tecnologizzazione di tutto il processo produttivo che è interessante da indagare. E però in qualche modo se i magazzini logistici tradizionali sono per lo più impiantati all’interno di interporti, quindi diciamo fuori dalle città, o in quella grande urbanizzazione diffusa che caratterizza un po’ queste nostre latitudini, quindi sempre fuori sostanzialmente dai poli classici, anche Amazon tendenzialmente sta innestando i suoi grossi centri fuori dai centri urbani ma ha anche l’esigenza di costruire infrastrutture – quelle che si chiamano di ultimo miglio . Quindi sostanzialmente si sta creando infrastrutture più piccole: piccoli magazzini, piccoli snodi o piccoli punti distribuzione sempre all’interno delle città. Quindi sta creando anche traiettorie di distribuzione nuove e d’impatto direttamente sui tessuti urbani. E questo appunto è l’ultimo punto, quello dei riders che in qualche modo possono essere, se vogliamo, ripeto, emblematici di questo ultimo miglio perché arrivano direttamente a casa. I riders sono un altro esempio di organizzazione del lavoro della cosiddetta industria 4.0 : lavorano organizzati via Whatsapp, sono coordinati appunto via Whatsapp, girano tendenzialmente in bicicletta diciamo muovendosi in Google Maps – chiaramente hanno quello come percorso dato – quindi sembra questo lavoro molto futuristico e presentato come un bel lavoro in cui si sta in biciletta in giro per la città, si lavora quando si vuole, basta loggarsi o sloggarsi dalla piattaforma per iniziare o finire di lavorare; le condizioni di lavoro in realtà quando vengono poi verificate ci parlano di tutt’altro e anche in questo caso ci sono stati una serie di scioperi o tentativi di organizzazione negli ultimi anni, in particolare a Torino per il caso di Foodora, che è appunto una piattaforma che consegna cibo a casa a Milano, a Bologna e anche in altre città. Ecco queste tre figure del lavoro logistico di oggi ci danno un po’ il segno di come sia un settore sia estremamente variegato al suo interno che in qualche modo di frontiera, delle ultime nuove frontiere dello sviluppo capitalistico, e come dentro appunto questa frontiera si producano anche una serie di conflitti, di resistenze, di tentativi di organizzazione che la rendono da questo punto di vista uno dei terreni più privilegiati per ipotesi di conflittualità all’interno di uno scenario contemporaneo.
Chiudo con un’ultima riflessione: l’anno scorso, è passato abbastanza sotto traccia, Ferrovie Italiane e Ministero dei Trasporti hanno approvato questo piano che si chiama “Connetere l’Italia”, che è un piano da cinque miliardi di euro di investimenti, che promette la rivoluzione dell’ultimo miglio. Avrete capito da quanto detto prima il senso qual è. Sostanzialmente è un grande piano di fluidificazione dei territori, di infrastrutturazione, per connettere in maniera più veloce tutta quella serie di porti, interporti, piccoli e grandi magazzini, centri di prossimità, con un grande piano infrastrutturale che è interessante da guardare perché punta uno sguardo logistico su tutto il territorio italiano. In particolare il nord Italia è investito da questo piano di investimenti. Perché questo è interessante? Perché sostanzialmente un altro dei filtri, dei piani, attraverso i quali ? la logistica è quello del territorio nel senso lato. Non solo quindi la logistica come lavoro nei magazzini ma la logistica come logica attorno alla quali si costruiscono i tessuti urbani oggi. Se guardiamo da questo punto di vista come città e logistica abbiano tante tangenze, sia le logiche dei costruttori di magazzini logistici sia le logiche dei progettisti urbani hanno sempre più dei punti d’incontro e sempre più le città stanno diventando in qualche modo fluide, flessibili, mobili, adattabili per poter essere grandi hub per la distribuzione e la circolazione delle merci al loro interno è necessario modificare proprio l’impianto urbano. Quindi la logistica ha questa caratteristica che non solo trasforma il tipo di lavoro ma trasforma anche in profondità i territori. E da questo punto di vista, e chiudo, proprio guardare oggi alla logistica è la possibilità di un discorso teorico e politico ampio in cui vanno a convergere un discorso sul lavoro tout-court, su però anche il territorio urbano, gli spazi cittadini che abitiamo. I due sguardi devono essere tenuti assieme, questo anche rispetto ai conflitti che si sono sviluppati all’interno della logistica. Questa capacità di non limitare il conflitto capitale-lavoro solo all’interno dei magazzini ma riuscire a guardare ad una spazialità più ampia sulla quale si possono organizzare questi tipi di conflitti, a partire dalle reti migranti che hanno agito in primis questi conflitti la cui distribuzione, se si va a mappare come vivono i lavoratori in queste comunità, sul serio non siamo più di fronte ai quartieri operai di una volta, non siamo più di fronte alle città ma si profilano di fronte a noi nuove spazialità urbane che vanno indagate, tracciate, rese politicamente e appunto questa serie di filtri che ho provato ad accennare sono altrettanti scenari di ricerca di possibili interventi politici che rendono la logistica un terreno che abbiamo valutato come strategico sia appunto per un ambito di ricerca ma anche per un ambito di politica.